giovedì 15 dicembre 2016

Assemblea all'Unical. Quattrocento persone e una sola (e)mozione: "dimissioni"


Due mesi e mezzo dopo l'apertura della crisi di governo all'Università della Calabria - cominciata il 3 ottobre scorso con le dimissioni del prorettore D'Ignazio, ndr - gli ex sostenitori del rettore Gino Crisci hanno compiuto la grande prova di forza: l'assemblea convocata ieri per discutere sul futuro dell'Unical, con la partecipazione di almeno quattrocento persone, fra studenti, docenti e personale t.a., si è conclusa con una richiesta ufficiale di dimissioni indirizzata al Magnifico. Esaurito il balletto solitario di interviste, commenti e dichiarazioni a mezzo stampa, che ha offerto all'esterno uno spettacolo indegno di un ateneo, la parola è tornata finalmente nel suo luogo naturale, all'interno della comunità universitaria, spazio collettivo non privo di contraddizioni ma proprio per questo interessante e formativo. Nessuno si è voluto perdere l'appuntamento. Il lavoro grosso lo ha fatto il Consiglio degli studenti, in guerra aperta con il prorettore Luigino Filice che non si decide a sbloccargli i fondi. Ci sono i fuori corso. Ci sono i “precari”, che dopo anni di contratto, si vedono improvvisamente fuori dai giochi. C'è il capo ufficio stampa e a due passi la nuova portavoce. C'è il consigliere d'amministrazione Maggiolini. Impiedi, in fondo a dominare l'aula, c'è Franco Santolla.

Il dibattito, introdotto e moderato da Guerino D'Ignazio e Nuccio Ordine, ha toccato tantissimi punti, senza approfondirli: didattica, ricerca, residenzialità, Statuto, trasparenza, democrazia. Cinque minuti, scanditi da un timer sullo schermo, e al microfono si alternano una ventina di interventi. Il cahier de doleances è lunghissimo. Per Girolamo Giordano, “stando ai numeri della ricerca, questa università è destinata alla morte”; per Domenico Tulino “gli alloggi sono da terzo mondo”; per Raffaele Perrelli “non c'è agibilità democratica”; per Massimo Migliori “la didattica è trascurata”; per Nicola Caruso “manca la sicurezza”; per Sergio Greco “un declino così mai”. La conclusione, per dirla con Ordine, è che “questo rettore è inadeguato” a gestire la fase e a risolvere tutti i problemi, o per dirla con D'Ignazio, “questo modello oligarchico di gestione del potere deve cedere il passo ad un maggiore pluralismo”.
“Oligarchia” è un termine che ricorre spesso nella discussione: il governo dei pochi – “pochissimi, due o tre", sostiene Perrelli - è però l'unica forma di governo che conosciamo, e non da oggi. D'altronde questi pochi sono stati eletti democraticamente, o al più nominati (come nel caso del CdA) seguendo criteri perfettamente legali: “Dove eravate – chiedono giustamente ai “congiurati” Gianluca Aloi ed Elisabetta Della Corte – quando veniva scritto il nuovo Statuto, quando pochi di noi denunciavano la deriva autoritaria di un CdA nominato e non eletto?” E dove eravate quando si discuteva di didattica, di ricerca, di residenzialità, di trasparenza, di democrazia negli organi decisionali, nei consigli di dipartimento, in Senato, in CdA? Quando proliferavano insegnamenti e corsi di laurea? Quando si assumevano figli e amici? “Dove siete stati durante i quattordici anni di rettorato Latorre” - ricorda Davide Merando - a cui il Senato ha pure riconosciuto il titolo di professore emerito? Quando si modificava lo Statuto per eleggerlo la terza volta? Quando flirtava con la politica locale – con la “p” minuscola, come direbbe Walter Nocito? E quando la polizia sgomberava e demoliva i capannoni autogestiti al Polifunzionale, aggiungiamo noi, dove eravate? Anche qui l'elenco delle domande potrebbe continuare, ma la risposta sarebbe sempre la stessa: erano tutti lì, allo stesso posto, a decidere, a guardare, a gestire potere. Pochi, ma forti del mandato ricevuto. Impegnati a sopravvivere, ognuno con i suoi pochi, senza pensare mai all'interesse generale.
Ecco, se c'è stato un grande assente nell'assemblea di ieri, è stato proprio l'interesse generale: abbiamo assistito ad una sfilata di capi cosparsi di cenere per aver votato o meno il rettore in carica, incapaci di fare veramente autocritica, riluttanti al confronto approfondito e disinteressati ad un'inversione di rotta. Le proposte non mancherebbero, come ricorda Marta Petrusewicz, basterebbe guardare alle nostre radici, quelle di “un'università utopica nata dal meridionalismo progressista, con pochi studenti, un curriculum comune, un modello dinuovo residenziale”. Ma non c'è tempo per le utopie, bisogna approvare la mozione, il futuro può attendere. E la mozione è: dimissioni. Il massimo che l'assemblea di ieri poteva esprimere.

Daniela Ielasi

2 commenti:

  1. Un punto di vista chiaro e da capitalizzare. Il ventaglio delle interpretazioni è ampio e non tutto è ancora definito.
    Non ho partecipato alla riunione, perchè temevo che fosse velata dall'etichetta di un convegno, ma che di fatto si trasformasse in un'assemblea. Così è stato. Un modo per contarsi. Per me, illudendomi, le parole hanno ancora un senso: un convegno è una cosa, un'assemblea è tutt'altro. Nei convegni si approfondisce. Si entra nei dettagli. Si Discute (se fatti bene, ossia con interventi strutturati). In una'assemblea si fa, legittimamente, altro. Dalla mia prospettiva, vedo, ovunque, molte ombre e poca luce e da quello che leggo, l'incontro di ieri non mi ha aiutato a comprendere meglio le ragioni della turbolenza. Aspetto, tra le altre cose, il prossimo "convegno".

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  2. Che bello vedere gli stessi che lo hanno eletto fare la gara a chi grida più forte, Perrelli in testa. Sic transit gloria mundi...

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