lunedì 29 dicembre 2008

In pensione Franco Bartucci, responsabile dell'Ufficio Stampa. La sua lettera di saluto

Cari Amici,
E' tempo che vi comunichi la mia cessazione dal servizio a partire dal prossimo 31 dicembre, in qualità di responsabile dell'Ufficio Stampa dell'Università della Calabria, in quanto a partire dal primo del nuovo anno sarò in pensione. Voglio approfittare di questa circostanza per farvi giungere i miei più profondi auguri per il nuovo anno e ringraziarvi della vostra attenzione riservata alle mie note informative quasi giornaliere riportate nei comunicati stampa. Per me sono stati trentasei anni di intenso lavoro esercitato con tanto entusiasmo e passione in difesa dell'immagine positiva della nostra Università, grazie anche alla vostra attenzione e sensibilità. Vado via con tanti ricordi meravigliosi, spazi positivi e spazi negativi, ma che hanno portato ad un arricchimento della mia personalità e professionalità di giornalista, di uomo, marito e padre di famiglia.
Mi è stato chiesto di dare una mano di aiuto per la manifestazione di inaugurazione dell'anno accademico, che come già sapete si svolgerà il prossimo 15 gennaio, nell'aula magna, alla presenza del Presidente della Repubblica. Sarà una giornata importante in quanto verrà dedicata l'aula magna alla memoria del prof. Beniamino Andreatta, primo Rettore della nostra Università. Per me sarà una occasione emozionante in quanto proprio dal prof. Beniamino Andreatta mi fu affidato il compito di assistere le prime 600 matricole iscritte al primo anno accademico, attraverso il lavoro dell'Opera Universitaria, nonché di curare il rapporto con gli organi d'informazione. Penso di avere fatto in tutti questi anni il mio dovere avendo vicino a me tantissime persone e voglio ricordare in questo momento coloro che non sono più in mezzo a noi: Elio Fata, Franco Scervini, Francesco Gallina, Michelangelo Napolitano, Franco Martelli.
Finisco qui perché mi prende l'emozione e, comunque, vi inoltro il mio più profondo saluto ed auguri di Buon Anno.
Franco Bartucci

sabato 20 dicembre 2008

Gramo e Buono: il visconte dimezzato di I. Calvino

A Natale si diventa sempre più buoni o per lo meno ci si prova, ma cosa significa essere completamente buoni o completamente cattivi? Italo Calvino ci pensa un po' e poi scrive un racconto per dilettare se stesso ed allietare gli altri... Viene fuori il suo 'Visconte dimezzato', Medardo di Terralba, un nobile che torna dalla guerra diviso in due parti: la metà malvagia, sempre accigliata e pronta a far dispetti, e la parte buona, così buona e sdolcinata da far danni.L'autore impersona il nipote del protagonista e racconta la storia con quel distacco e quella eccessiva serietà che contraddistingue le storie che presentano dei paradossi. Effettivamente l'originale vicenda è costellata di circostanze e situazioni alquanto singolari: il visconte si troverà a trattare con gli abituali nemici, con i contadini, con i suoi stessi parenti cambiando completamente idea sulle stesse identiche cose in base alla parte (buona o cattiva) in cui ci si imbatte. Una bella confusione per chi è del posto e non sa cosa fare il Gramo ed il Buono confondono tutti, infatti nessuno fa caso al fatto che una volta sia la parte destra ed a volte la sinistra a presentarsi... La maggior parte delle persone, invece, si accorgono della bizzarria del visconte e molti temono che la guerra gli abbia fatto perdere non solo la sua metà fisica ma anche la ragione.
Sarà l'amore per una ragazza Pamela(di cui entrambe le parti si innamoreranno) ad esacerbare la situazione mettendo l'una contro l'altra le metà della stessa persona acconsentendo ad uno di sposarlo all'altro di farsi sposare! Così all'altare saranno presenti la parte buona e quella cattiva, data la situazione si giungerà ad un duello durante il quale le cicatrici si apriranno. Il 'medico', presente al duello, che già aveva capito cosa era accaduto grazie anche alle sue passioni per i rimedi naturali, con una miscela sorprendente di erbe e altri elementi ed una sapienza per l'arte medica (in realtà mai troppo ostentata) riuscirà a ricucire insieme in un'unica persona Buono e Gramo restituendo la 'normalità' al povero visconte. Egli tornerà ad essere 'nè buono nè cattivo', cioè un uomo comune non troppo malvagio e neanche troppo buono...
Bruna Larosa

sabato 13 dicembre 2008

Trasporti: la Regione "rompe" con il Consorzio Autolinee. Incontro in Redazione con l'Assessore Naccari Carlizzi

L’annoso problema dei trasporti che collegano l’Università a Cosenza è uno dei motori che ha spinto le manifestazioni dei movimenti studenteschi che nel tempo hanno animato il nostro Ateneo. Un problema atavico, che ha colpito intere generazioni di studenti e che a distanza di trent’anni riesce ancora a far parlare di sé, tanto che ha trovato spazio anche nel nostro giovane giornale. L’assessore regionale ai trasporti, Demetrio Naccari Carlizzi, raggiunto da una e mail, ha accettato di venire nella nostra sede e di incontrare gli studenti. Somma soddisfazione per i presenti che hanno potuto parlare senza intermediari con l’assessore e con il responsabile ai trasporti per la Regione Calabria, l’ing. Gigliotti. Una soddisfazione per l’assessore stesso, che ha potuto mostrare un modo di far politica purtroppo insolito: vicino e pronto ad ascoltare le esigenze dell’utenza. Già dalle prime battute, però, la soddisfazione si è tramutata in stupore dall’una e dall’altra parte: mentre gli studenti parlavano e denunciavano i numerosi disservizi, quelli che tutti conosciamo e che affrontiamo con coraggio e un pizzico di ‘rassegnazione’, i nostri interlocutori si scambiavano sguardi di meraviglia e qualche battuta di incredulità. D’altro canto anche per noi presenti è stata una vera sorpresa sapere che il Consorzio Autolinee (la linea che gestisce il trasporto su gomma tra Cosenza e l’università) viene finanziato per offrire un servizio pari a una corsa ogni 5 minuti cosa che, noi sappiamo bene, non si è mai vista.
Ci viene detto che in Calabria, Cosenza è il capoluogo di Regione cui sono destinati maggiori finanziamenti per il trasporto (vengono eserciti 28 km circa per abitante, quasi al pari con Catanzaro, 27 km/abitante, ben lontana da Reggio calabria 17 Km/a., Crotone 11 km/a. e Vibo Valentia solo 4 Km/a.), tanto che non si riteneva necessario investire ancora sul nostro territorio, eppure le notizie, a dir poco sconvolgenti hanno rivelato una realtà ben diversa da quella che dall’alto si riteneva ci fosse. La Regione in base ad una direttiva Europea, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale C 121 del 29.04.2000, in merito alle concessioni per i servizi pubblici, ha scisso la convenzione con il Consorzio Autolinee, che da trent’anni a questa parte ha lavorato, di fatto, in una condizione di monopolio. Spezzare questo monopolio accende la speranza, condivisa, che un po’ di sana concorrenza non potrà che giovare a far migliorare il servizio e, magari, renderlo più attento alle esigenze reali del territorio e dell’utenza.
L’Assessore concorda con noi quando si parla dei motivi culturali ed educativi che sono alla base di uno scarso utilizzo dei mezzi pubblici, e, come noi, sostiene che questa consapevolezza può essere scalfita offrendo una valida alternativa in termini di efficienza del trasporto pubblico. Egli stesso esprime il suo stupore alla vista dell’Ateneo praticamente immerso nelle auto, ‘sembrava di respirare gasolio’ dice stupito, una situazione paradossale per un Campus e l’idea stessa che una struttura così concepita porta con sé. Condizione questa senza dubbio evitabile con un po’ più di attenzione dall’alto che tra gli utenti può solo trasformarsi in convenienza ed educazione a beneficio dell’intera cittadinanza. Si è parlato di tante cose, e l’Assessore stimolato dalle nuove informazioni ricevute ha subito pensato di indire una conferenza dei servizi con i ‘vertici’ locali, il sindaco, il Rettore ed altri, per sviscerare i problemi ed elaborare delle linee di risoluzione ed azione per un piano del traffico. Una conferenza in cui discutere praticamente i problemi, dovuta agli studenti e agli abitanti di Cosenza per avere un servizio migliore, soprattutto pensando alla vita massacrante che tocca ai pendolari e ai 5 milioni e passa di euro che il Consorzio Autolinee percepisce per il servizio che eroga sul territorio cosentino.
Altra questione affrontata è il prolungamento dell’orario notturno per gli autobus, ad ogni nostra richiesta in merito era stato risposto che il servizio di trasporto per l’Università è assimilato al servizio scolastico, di conseguenza, le corse notturne non sono mai state contemplate. Risulta che l’università paga oltre 200 mila euro al consorzio Autolinee per le corse nei giorni festivi e le serali, una gran sorpresa anche questa per i nostri ospiti, che nulla sapevano e sospettavano. L’ing. Gigliotti parla subito di una impossibilità finanziaria da parte della Regione ad erogare corse notturne, ma l’Assessore ha promesso di discuterne nella conferenza per verificare la fattibilità e realizzazione di questa richiesta.
Un bell’incontro con un dibattito vivace e partecipato possibile grazie all’Assessore Carlizzi, insediato da pochi mesi, che sembra aver capito che ascoltare gli utenti non è una cosa inutile, ma un momento prezioso, per chi vuole offrire un servizio reale. Per gennaio ci aspettiamo le novità promesse, fiduciosi che anche la nostra Regione, con tutti i suoi mali e i suoi dolori, possa creare e realizzare qualcosa di buono per i suoi cittadini. Far funzionare i servizi in un contesto culturale come il nostro è già un chiaro messaggio che le cose possono cambiare anche in meglio.
Bruna Larosa

mercoledì 3 dicembre 2008

Prime note per la riflessione dell'Onda


Un'altra università non vuol dire l’università del futuro.

I. L’0nda sta mutando la sua fase.
Con la massiccia concentrazione del 14 novembre su Roma, si compie un ciclo del movimento, il primo. Tutto era cominciato con un decreto romano, illiberale e statalista che, trattando la formazione come un costo piuttosto che un investimento, tagliava drasticamente la spesa pubblica per scuola ed università. Il 14 novembre è così la risonanza sociale provocata da quel decreto.
Ma tanto la pluralità quanto i numeri coinvolti testimoniano, con tutta evidenza, che l’0nda ha già prodotto una eccedenza che è fuori misura rispetto al gesto che la ha provocata. In altri termini l’orizzonte parasindacale incentrato sulla questione dei tagli risulta ormai limitato anzi asfittico; ed emergono forme di vita attiva che hanno compiuto l’esodo dalla temporalità moderna dove il futuro è vissuto nel modo dell’attesa ( nuove riforme, nuovi governi, nuove scienzenuove ricerchenuovo mondo etc.) e s’impegnano “a strappare la felicità al futuro” praticando qui ed ora il terreno della critica alla divisione disciplinare del sapere: la prassi dell’autoformazione ovvero una altra università, in grado di richiamarsi all’origine, all’autonomia ed unità del sapere.

II. Il rimbalzo dell’onda.
Dopo il 14 di novembre il movimento rientra nei suoi luoghi d’origine, inebriato dalla condivisione della presenza, da quell’essere in molti tutti insieme nello stesso luogo. Questa potenza va scagliata, luogo per luogo, contro il sistema della scuola e dell’università—sistema mostruoso per astrazione e debole nel conseguire risultati proprio perchè assegna alla formazione ed alla ricerca il compito di aiutare la crescita economica del paese, favorire la competizione della nostra industria sul mercato globale.
Per far questo,occorre convergere sulla didattica, cioè su tempi, modi, contenuti con i quali l’università adempie al compito per il quale è nata: la rielaborazione del sapere in forma tale che sia pubblicamente, meglio, dirò, comunemente, trasmissibile di generazione in generazione.
Si tratta di partire dalle cose come stanno, dal clamoroso fallimento della riforma “3+2”, riforma bi-partisan quanti altri mai, proposta pressoché unanimemente dal ceto politico, sia di destra che di sinistra.
Si tratta d’andare nella direzione opposta a quella indicata dalla riforma Berlinguer-Moratti-Gelmini.
Mentre quest’ultima mira a sfornare leve di massa d’idioti specializzati per ruoli lavorativi stupidi e ripetitivi, la pratica dell’autoformazione si dispiega attraverso le discipline per conseguire quell’unita del sapere che sola permette una rappresentazione vera della realtà:infatti la realtà, come la natura da cui scaturisce, è di per sé interdisciplinare. L’autoformazione si sviluppa quindi come rapporto tra lo studente e la realtà, e non già come destino dello studente nel mercato del lavoro.
Per tradurre in slogan la questione potremmo dire che i primi tre anni di curriculum universitario conseguono il loro scopo nel fornire le competenze generiche dell’individuo sociale; essi sono quindi organizzati a livello d’ateneo e prevedono che lo studente attraversi, tramite la scelta libera dei corsi, tutte le aree tematiche presenti nell’ateneo—e.g. all’Unical queste aree sono cinque ed in conseguenza il numero d’esami complessivo per il triennio non dovrebbe superare il numero di quindici.
I corsi, poi, devono possedere quell’aura socratica che permetta il rapporto individuale tra docente e discente, e consenta l’acquisizione della capacità euristica piuttosto che l’apprendimento passivo di nozioni – e questo comporta che non vi siano molte decine di studenti per classe e che l’attività di docenza preveda un andamento per dispute e seminari. Si pensi che, nel modello “3+2”, la lezione frontale, con l’uso dei lucidi e del power- point in una classe con centinaia di studenti, somiglia più ad una conferenza televisiva che ad una attività di trasferimento della conoscenza svolta in presenza.

III. La valutazione del professore e la potenza intellettuale dello studente.
Si è già detto: l’università non è un centro di ricerca. Questo comporta che un ottimo ricercatore possa essere un mediocre o anche pessimo docente, se privo del prestigio intellettuale che solo la capacità espressiva è in grado di conferire. Il giudizio didattico sul professore non deve essere affidato ai suoi pari, bensì agli studenti che hanno seguito i suoi corsi: essi soli hanno l’esperienza per valutare. Questo giudizio, espresso ripetutamente nelle forme adeguate, deve avere un valore determinante a livello d’ateneo per il conferimento degli incarichi e per la carriera accademica. Va da sé che gli attuali questionari, somministrati irresponsabilmente e privi del minimo riscontro pratico, sono la caricatura del giudizio studentesco sull’attività della docenza.

IV. Il sistema nazionale dell’università pubblica ed il reclutamento dei docenti.
Per assicurare la trasmissione pubblica dei saperi le università devono costituire rete—avere le regole fondamentali in comune sicché sia garantita la mobilità di studenti, dottorandi e docenti da una sede universitaria ad un’altra. La prima regola è che per intraprendere e progredire nella carriera accademica occorre cambiar sede—questo vuol dire che, ad esempio, il dottorato si consegue in un ateneo diverso da quello che ha conferito la laurea magistrale; ed il contratto a tempo determinato post-doctoral richiede nuovamente un mutamento di sede.
In particolare, i docenti devono avere una qualificazione attestata a livello nazionale nella forma di abilitazione alla docenza valida per un certo periodo, supponiamo per cinque anni. Entro quest’intervallo di tempo, il singolo ateneo può attingere dalla lista aperta degli abilitati, e solo da quella, il nuovo personale docente, a discrezione del Dipartimento interessato e senza la farsa del concorso nazionale-- o almeno quello in ruolo che possiede tutti i titoli, attivi e passivi.
Il docente in ruolo è sottoposto a valutazione decennale, articolata: a) in un esame della sua attività di ricerca espresso dai suoi pari a livello internazionale; b) in un giudizio sulla capacità didattica formulato dagli studenti che hanno seguito i suoi corsi, nonché da coloro che lo hanno avuto come tutor o come relatore di tesi. Il superamento della valutazione decennale è condizione necessaria per rinnovare il rapporto di lavoro con gli atenei del sistema pubblico.
Il ruolo della docenza è unico con parità di diritti e doveri; l’eventuali differenziazioni nello stipendio devono essere articolate in funzione dell’esperienza e delle attività accademiche svolte.

V. La democrazia universitaria.
Una delle conseguenze tra le più funeste della contro-riforma “3+2” è la trasformazione virtuale dei professori in improvvisati “managers” e del rettore in amministratore delegato personalmente interessato a conservare potere e prebende.
Anche qui, occorre imboccare la direzione opposta.
Intanto l’elettorato del rettore deve comprendere oltre ai professori a pieno tempo, ai dottorandi ed agli assegnasti, tutti gli studenti a partire dal terzo anno in regola con gli esami. Inoltre l’elettorato attivo deve coincidere con quello passivo—sicché potrebbe capitare di ritrovarsi uno studente come rettore, cosa per altro che accadeva in qualche università italiana fino all’altro ieri, fino alla campagna napoleonica. Al rettore andrebbe affiancato un Consiglio d’ateneo eletto in forma non corporativa, con poteri di gestione e di rappresentanza.
Il rettore ed i membri del Consiglio dovrebbero restare in carica per un solo mandato e non godere dell’elettorato passivo per il mandato immediatamente successivo.
Il Senato accademico andrebbe soppresso insieme alle Facoltà—i ruoli accademici dovrebbero far capo ai Dipartimenti, che, a loro volta, andrebbero strutturati attorno a tematiche di ricerca e non definiti sulla triste base disciplinare.
Al posto delle Facoltà dovrebbero subentrare i Consigli di Corso di Laurea ed il Coordinamento dei consigli, entrambi modulati da esclusive ragioni didattiche ed in grado di fare emergere le passioni conoscitive degli studenti.
Infine andrebbe svuotata di ogni autorità, come peraltro già sta avvenendo, la Conferenza dei Rettori ed Consiglio Nazionale Universitario (CUN). La rappresentanza del sistema nazionale universitario andrebbe assunta da un organo consiliare eletto di volta in volta, su singole questioni e con mandato vincolante, dai Consigli d’Ateneo.

Franco Piperno