martedì 6 dicembre 2016

L'Anelante di Rezza ipnotizza e diverte il pubblico del TAU


Ieri sera il Teatro Auditorium Unical era gremito. In molti affezionati attendevano l'ipercinetico, quasi sonico, Antonio Rezza. Il nuovo spettacolo a firma Rezzamastrella presenta immediatamente una novità ben visibile: Rezza non è solo. In scena ad accompagnarlo quattro agilissimi performer che con le loro azioni fanno da controcanto al corpo ritmico di Antonio. Manolo Muoio, Ivan Bellavista, Chiara A Perrini, Enzo Di Norscia (così all'anagrafe) sono i corpi che si sottraggono e moltiplicano a quello di Rezza. L'habitat creato da Flavia Mastrella non è solo una scenografia, ma un reagente chimico che dà al corpo in avaria di Rezza, come egli stesso dice, la possibilità di produrre parole non frutto del calcolo razionale.


Ad inizio spettacolo un cortocircuito paradossale riempie la sala: Parole disperate producono nel pubblico, intento a difendersi, risate nervose. Fatti insostenibilmente tragici partoriscono risate a crepapelle. Rezza immobile, seduto a terra, fissa il pubblico, ci mette a nudo. È difficile sostenere il suo sguardo, e per difesa ridiamo ancora.

Di cosa parla Anelante? Ovviamente non c'è una trama: matematici famosi del passato vengono messi alla berlina, un lettore parlante che non si rassegna al fatto di dover stare zitto mentre legge, i potenti della terra fra assenteismo e baldorie orgiastiche come nelle migliori teorie della cospirazione.

A cosa anela Anelante? A scivolare sui bordi del linguaggio, per trovare un po' di silenzio forse. Silenzio pervicacemente infranto dalla logorrea patologica del non-personaggio rezziano che a  metà spettacolo indirà un minuto di silenzio, necessariamente non rispettato. Il rapporto intimo, conflittuale e beffeggiante con le teorie freudiane. La relazione fra Dio e il Culo in “non ci credo nel Culo”. Le pensioni e la morte, “come puoi pensare alla pensione se stai per morire, un po' di dignità”.

Il fiume di parole è un continuo rimando a qualcos'altro, i significanti sono piegati, moltiplicati, destrutturati dal virtuosismo della voce ferrosa amplificata nelle cavità del corpo spigoloso di Rezza. Questo magma significante viene puntellato di tanto in tanto dai suoni dell'orchestra ritmico sonora dei performer: pura voce e battiti (quasi cardiaci) costituiscono la sottilmente ipnotica colonna sonora dello spettacolo. Anelante racconta senza una logica. Rapisce l'attenzione grazie a costruzioni narrative più simili al procedere del linguaggio inconscio che non a quello logico e ordinato della ragione. Frammenti metaforici e metonimici si fissano surrettiziamente nella nostra coscienza e danno il via a processi di riflessione che scardinano la visione quotidiana, sporcata dalle necessarie sovrastrutture sociali che abbiamo introiettato.

É ancora il linguaggio ad essere tirato in ballo, è ciò che ci separa e non permette l'incontro fra umani “quanta arroganza nel pensare che se ti rivolgo una domanda poi io mi aspetti una risposta, mentre tu rispondi io che faccio?”. Lo stesso Rezza dice che Anelante è la storia di “un uomo che cerca di ascoltare gli altri, ma poi alla fine capisce che è meglio ascoltare se stessi”.

Dopo aver affrontato temi sociali una rapida torsione nell'intimo (subacqueo, quasi amniotico) ci catapulta nella scena primaria di un bambino alle prese con il difficile rapporto con papà e mamma, mamma di estrazione semplice e papà che sa tutto, non lo cogli impreparato su nessun argomento, anche se non è mai presente. L'irrazionale e angoscioso amore materno e le freddure distaccate del padre. “Se avessi un fucile a chi spareresti alle spalle: a papà o a mamma?”



Gianbattista Picerno

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