lunedì 24 ottobre 2016

Placement, ovvero come ti trovo un lavoro (al call center)


E’ opinione diffusa – benché non sempre condivisa – che l’Università debba impegnarsi non solo a formare i suoi laureati ma anche a trovar loro un posto di lavoro. Il “placement” fa parte della cosiddetta “terza missione” degli atenei: accanto a ricerca e didattica, essi devono porsi come obiettivo un rapporto più stretto con la società, perché questo obiettivo è divenuto rilevante ai fini della distribuzione dei fondi da parte del Ministero. In linea di principio non fa una piega: che la ricerca svolta all’interno degli atenei influenzi la società, la trasformi, la migliori, è un auspicio giusto e condivisibile. Come questo principio venga messo in pratica, è però un’altra cosa: così capita che le università somiglino sempre più spesso ad uffici di collocamento o agenzie per il lavoro, senza neanche troppo successo.

Il placement all’Unical. All’Università della Calabria, la terza missione rientra nelle priorità dell’amministrazione Crisci, tanto che il rettore ha scelto di nominare una delegata al ramo, la professoressa Assunta Bonanno. Il settore, seppure dotato di una sola unità di personale, l’efficientissimo Franco Gelsomino, stando a quanto riportato dagli stessi responsabili, ha conosciuto un incremento di attività negli ultimi due anni: solo nel 2016 sono stati organizzati 24 recruiting day, 4 career day, 4 seminari, per un totale di 1664 partecipanti. E l’anno non si è ancora concluso: il 25 novembre è previsto un altro career day, e forse ancora un altro il 2 dicembre. In giorni prestabiliti e ampiamente pubblicizzati, i laureati vengono all’Unical per sostenere dei colloqui con le aziende. “Le aziende che ospitiamo – chiarisce la prof. Bonanno – devono avere delle posizioni aperte, devono cioè essere realmente alla ricerca di personale da assumere”. Questa è praticamente l’unica condizione richiesta: in base al profilo ricercato, l’università funge da tramite fra domanda e offerta, e invia una call a tutti i laureati degli ultimi anni. I profili più richiesti sono solitamente informatici e ingegneri informatici, ma non solo: gli interessati possono rispondere alla call e prenotare un colloquio che si terrà presso l’ateneo, con una sola azienda nel recruiting day, con più aziende nel career day.

Una vetrina per le aziende. Per le aziende è un’occasione gratuita di promozione e visibilità: all’ultimo career day, che si è svolto il 13 ottobre alla presenza dell’assessore al Lavoro della Regione Calabria, Federica Roccisano, le cinque aziende invitate, prima di fare i colloqui, hanno raccontato storia e mission in Aula Magna, davanti a circa duecento laureati. Storie molto interessanti, come quella di NTTdata: nata in Giappone, 75mila dipendenti, ha aperto una delle sue sedi più innovative a Cosenza nel 2001, il 90% dei duecento impiegati sono laureati Unical. Fra le commesse di pregio, l’azienda ha ottenuto di recente la digitalizzazione della Biblioteca Vaticana, mentre a Cosenza si realizzano prodotti all’avanguardia nel campo della cybersecurity. “Altrove le aziende pagano per avere questa vetrina nelle università - ci confessa la delegata all’orientamento – invece noi non solo offriamo un servizio gratuito, ma spesso dobbiamo inseguirle per mesi prima di portarle qui”. Il tessuto economico regionale non consente ampi margini di manovra, così l’Unical cerca di attirare le aziende del nord, che però non sempre accettano di fare reclutamento al sud.  

I risultati? Insomma l’obiettivo è alquanto impegnativo e gli addetti non si risparmiano, questo va riconosciuto. Ma quali sono i risultati? Quanti laureati Unical hanno effettivamente trovato lavoro attraverso questo servizio? E che tipo di lavoro? Con quali mansioni? Per quanto tempo? I dati, i freddi numeri, che danno la cifra di un successo o di un insuccesso, ed eventualmente spunti di riflessione e di azione per il futuro, non sono noti. Le aziende non sono tenute ad informare l’università sull’esito dei colloqui, si ottiene un feedback generale ma non si sa mai quante assunzioni vengono fatte realmente. Anzi, per non creare illusioni, va detto con chiarezza: “Gli incontri che organizziamo – ammette la stessa Bonanno - sono solo un primo approccio, un’occasione di conoscenza reciproca, non veri e propri colloqui di lavoro: se l’azienda è interessata, convoca poi il laureato per un nuovo incontro, e se il laureato viene selezionato, gli propone un tirocinio”. Un tirocinio con Garanzia Giovani è il massimo a cui possono aspirare i partecipanti. O l’Alto Apprendistato, riservato ai dottorandi di ricerca, ma solo quando la Regione Calabria si degnerà di dare il via: l’Unical è pronta da tempo, e la promessa dell’assessora, laureata DES all’Unical e dottore di ricerca, è di farlo presto.

Laureati schizzinosi. Chissà se l’assessora, dopo tanta formazione, avrebbe accettato un tirocinio o un apprendistato a 500 euro al mese? Ma certo, chi può permettersi di rifiutare? Come dice Gelsomino, “con la fame di lavoro che c’è, non puoi fare tanto lo schizzinoso, altrimenti quale azienda ti prenderà mai a lavorare? Se l’azienda ti propone di rispondere al telefono, tu devi accettare: magari è solo un modo per metterti alla prova”. Sarà forse per questo che fra i candidati che partecipano agli incontri del placement si fa strada una malsana disillusione. Qualcuno è al primo colloquio e considera il career day comunque un’esperienza: “non mi prenderanno ma da qualche parte devo iniziare”. Altri, laureati da alcuni anni, già tirocinanti o apprendisti altrove, vengono quasi a timbrare il cartellino, senza crederci troppo.

Qualcuno si indigna. Luigi Tenuta è un laureato dell’Università della Calabria ed è uno schizzinoso, “choosy” direbbe la Fornero. Due lauree triennali, una in Fisica e una in Economia, ha partecipato il 5 ottobre scorso, insieme ad altri 321 candidati, ad uno dei tanti recruiting day organizzati dall’Unical. L’azienda reclutante era Cribis, del gruppo Crif, specializzato in sistemi di informazioni creditizie, business information e soluzioni per la gestione del credito. Dopo il suo colloquio con l’azienda, Luigi ci ha scritto indignato, perché pare che il suo esaminatore in giacca e cravatta, dopo un lungo giro di parole, gli abbia proposto proprio di rispondere al telefono. “Benché chi lavora in questo settore ha tutta la mia stima – scrive - trovo offensivo che l'Unical dopo avermi formato per anni su argomenti sempre più specifici, mi dica "grazie per aver investito su di noi, ti abbiamo trovato un bel lavoro... callcenter". Credo di saper trovare lavoro in un callcenter anche da solo, e soprattutto credo non sia necessario spendere anni e risorse finanziarie presso l'Unical”.

Voi che fareste? Luigi ha scritto pure una lettera al rettore per informarlo dell’accaduto. “Immagini di raccontare alle future matricole, durante gli incontri sull’orientamento nelle facoltà – si legge nella missiva - che un giorno li contatterete per proporre loro di lavorare in un call center: sarebbe interessante misurare l’impatto che ciò avrebbe sulle iscrizioni. Che lei sappia gli organizzatori di questo evento provano un minimo di vergogna o come al solito ci si scambia pacche sulle spalle pensando a che grande ateneo sia l’Unical?”. In attesa di una risposta, abbiamo girato la domanda alla sua delegata. “Perché non lo ha segnalato direttamente a noi – ha sbottato la prof - anziché scrivere al rettore o a voi? Se uno vuole che le cose migliorino, non si comporta così”. Nel merito Bonanno e Gelsomino assicurano che hanno sempre evitato di ospitare aziende di call center, ma se è accaduto che la Cribis ha proposto al ragazzo di rispondere al telefono, pazienza. Nessuna vergogna, dunque, e nessuna ammonizione per l’azienda che l’ha fatto. “Con cento posizioni aperte, voi che fareste, non la chiamereste più?”

Daniela Ielasi

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