mercoledì 26 ottobre 2016

Il poeta e il popolo, la Storia e il suo ribaltamento: nel film di Larrain un Neruda inafferrabile, come il suo ideale


A dieci anni dal debutto dietro la macchina da presa Pablo Larraìn prosegue la sua indagine sulla Storia cilena e i suoi rapporti con il potere: dalla trilogia dedicata al golpe (Tony Manero, Post Mortem, No), passando per le autorità ecclesiastiche di El Clùb, fino alla Repubblica cilena in clima da guerra fredda in Neruda, presentato alla Quinzaine dell’ultimo Festival di Cannes. 

In Tony Manero e Post Mortem lo sguardo della macchina da presa era secco e alienato, quasi in convergenza con quello dei personaggi, un criminale che si identifica con l’italoamericano interpretato da John Travolta ne La febbre del sabato sera e un impiegato dell’obitorio che assiste all’autopsia del cadavere di Salvador Allende. Seguendo le vicissitudini del pubblicitario in No l’immagine si deforma, Larraìn utilizza una videocamera Ikegami degli anni Ottanta e il formato 4:3, lo stesso dello spot televisivo ideato per la campagna referendaria, quasi a suggerirne un prolungamento nella diegesi del film. El Clùb è la somma di questi due stili, minimalismo e lenti anamorfiche che dilatano o restringono lo spazio, affrontando di petto lo spinoso problema della pedofilia clericale. Ripercorrere la carriera del regista cileno è necessario per individuare le linee guida della sua poetica e per acquisire gli strumenti utili ad identificare lo strano oggetto Neruda, un film che si interroga sulla sua stessa genealogia e sulla Storia intesa come processo reversibile, legata al cappio delle narrazioni e dell’immaginario.

Pablo Neruda è un senatore della Repubblica che osteggia la deriva autoritaria del governo guidato dal presidente Videla reo di aver tradito il partito comunista svendendo il Cile all’alleato yankee. Di contro viene orchestrato un mandato di arresto costringendo il poeta a fuggire con la moglie dal proprio paese, braccato dall’ispettore Oscar Pelucheonneau, forse il figlio illegittimo del fondatore della polizia cilena o semplicemente il figlio di una prostituta. Lontano dal dipingere un’agiografia confortante Larraìn delinea una figura ambigua, edonistica, a tratti impacciata, un corpo alla ricerca di un’utopia politica forse irraggiungibile, dedito ai piaceri della vita ma distaccato dal popolo che sostiene di difendere, tranne poi cedere alla pietas nella trasferta di Valparaiso, donando a una giovane bambina dal volto infangato un abbraccio, una giacca e un libro. 
Neruda attraverso le sue composizioni poetiche si fa portavoce di un ideale concreto, in grado di smuovere la sensibilità e gli umori della popolazione; allo stesso tempo è pura astrazione: la fisicità del poeta si trasforma in una spiritualità che ondeggia da un capo all’altro del paese e il film si interroga su come inseguirla, su come inquadrarla. È così per l’investigatore Pelucheonneau: Neruda è un fantasma, un’ossessione inafferrabile, utopico come l’ideale; la sua ragion d’essere è legata a stretto filo a quella del poeta, questo fa di lui un personaggio secondario? A chiederselo è lo stesso popolo, nel film quasi evaporato ma sempre al centro della discussione, incarnato dalla brilla militante che durante una festa domanda: “quando finalmente arriverà il comunismo saremo tutti come te, o somiglierete tutti a me?” ad evidenziare lo scarto sociale che separa il popolo dal poeta. Il percorso di ricerca però segue una pista contraria, anche Neruda vuole essere cercato e per far questo lascia tracce, contamina la sua fuga, lancia urli nell’innevata cordigliera andina in un finale da western crepuscolare. Ma l’incontro con Oscar, non più poliziotto ma rinato figlio del popolo attraverso un processo di agnizione interiore tra la neve e i pioppi, è ancora una volta mancato.
In Neruda c'è un'esplosione di stili e una vivacità impressionanti, con cambiamenti di tono repentini e un'artificiosità palpabile mai fastidiosa ma al contrario sublime. Un biopic sul poeta cileno subisce il depistaggio dell’autore, falsificando la Storia, attraversando diversi generi e inseguendo delle scelte che farebbero impallidire i produttori hollywoodiani. Ad esempio nella sequenza iniziale durante una festicciola nella maisòn Neruda abbiamo tre bande sonore: Neruda che recita dei versi, musica allietante a suggellare il momento poetico e il fastidioso mormorio contrariato della voce fuori campo: come un disturbo, un virus, a intermittenza, come l’insegna al neon di un hotel, la voce di Oscar si interpone al crocicchio tra la rappresentazione della Storia e il suo ribaltamento.

Silvio Scarpelli

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