lunedì 24 settembre 2007

Un master con licenza d'uccidere...

Ha preso recentemente avvio all'Unical il master in Intelligence. Per l'inaugurazione era stata annunciata la presenza del "picconatore" ex-Presidente Francesco Cossiga, presidente onorario del master, ma nonostante le gigantografie che lo immortalavano sui muri della città, “colui che sapeva del crollo della prima repubblica” non si è fatto vivo: sarà mica stata una trovata geniale per iniziare sin da subito a trasmettere nozioni di base ai corsisti del master?! nel dubbio cerchiamo di capire se davvero dobbiamo esser fieri che proprio la nostra università sia la prima, tra le pubbliche, a proporsi di formare 007 con relativa "licenza d'uccidere".
Sei i moduli nei quali si struttura il master diretto dal docente Unical Mario Caligiuri e frequentato per la maggiorparte da membri delle forze dell’ordine, poliziotti e carabinieri. Fra gli insegnanti spiccano nomi illustri, come quello del generale Fabio Mini, incaricato di seguire le esercitazioni della 4a Divisione meccanizzata USA, e tra i vari incarichi ha ricoperto anche quello di addetto militare in Cina, di direttore dell´Istituto superiore di Stato maggiore Interforze, di capo di Stato maggiore del comando Nato delle forze alleate Sud Europa. Ha anche comandato per un anno l´operazione di peace-keeping NATO in Kosovo, e poi ancora il prefetto Mario Fasano, Alessandro Politi, Consigliere di quattro ministri della Difesa (Italia e Grecia), analista strategico e di Open Source Intelligence, infine Marco Valentini, consulente.
Certamente non siamo cultori della materia, ma viene facile associare l'intelligence alla non sempre felice storia dei servizi segreti in Italia e anche in altre civilissime nazioni, prima fra tutte gli Stati Uniti d'America. Ricordiamo giusto a titolo di esempio che in molte delicate fasi della nostra Repubblica il ruolo avuto dai servizi segreti non è stato proprio quello di favorire l'affermazione della democrazia, anzi il contrario. Per rimanere alla storia più recente, ricordiamoci "solo" della "inventata" causa scatenante la guerra in Iraq o del rapimento del Mullah Abu Omar.
Va da sé che per comuni cittadini non si ha praticamente mai la possibilità di controllare l'operato di alcuni settori delle gerarchie militari e civili, che potenzialmente ed effettivamente operano in zone d'ombra al limite tra legale ed illegale, ci viene in mente l'antichissima e certamente non superata citazione di Platone "qui custodiet custodes?", chi controlla i controllori? ci chiediamo solo se oggi come oggi sia opportuno proseguire sulla strada della repressione preventiva o della prevenzione a fini repressivi o se, invece, non possa esser meglio cercare di facilitare seriamente nel sistema-mondo il dialogo, ovviamente un dialogo che non parta dalla considerazione che Noi siamo nel giusto e che quindi dobbiamo trovar il modo di convincere gli Altri, ma un dialogo alla pari.
Leggiamo per esempio che durante il corso si studierà delle minacce attuali che vengono rivolte al nostro mondo, ed è ovvio che quella che viene percepita come minaccia prioritaria è quella islamica, ma forse non dovremmo pensare che anche noi costituiamo minaccia, o lo abbiamo fatto in passato, per quei popoli? prima ancora di intercettare e ostacolare il malcontento delle popolazioni islamiche (come se poi avessero una cultura monolitica) non sarebbe forse più serio interrogarsi sul perché di questo storico malcontento, incominciando ad assumerci le nostre responsabilità? E non possiamo fare a meno di pensare ancora una volta all'Iraq. Nei tg se ne parla poco e niente, giusto quando qualche bomba provoca un numero non irrilevante di vittime, ma se pensiamo che questa assurda guerra è stata innescata da un falso dossier, ci viene da interrogarci se nelle università non sia meglio preparare ad altre tipologie di “mestiere”.
24/09/2007 - Paola Staffa

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