sabato 6 febbraio 2016

Amleto senza Amleto, dramma e talent show. Incontro con la regista Francesca Pennini




Si entra nel vivo del Progetto More, diretto da Scena Verticale con il sostegno del Mibact, della Regione e del comune di Cosenza, con L’Amleto del Colletivo Cinetico. L’insolita e originale rivisitazione del dramma shakespeariano ieri sera, al teatro Morelli,  ha inaugurato il “More Young”, cuore della programmazione 2015/2016 dedicata a giovani artisti emergenti e under 35. Incontriamo  Francesca Pennini, fondatrice di Colletivo Cinetico che firma regia, concept e drammaturgia  di questo Amleto in chiave talent.
Un Amleto che ha il taglio di un talent show in cui viene scardinato anche il testo. È possibile fare Amleto senza Amleto?  
Senza Amleto personaggio e senza Amleto testo. Perché una  parte è tratta dall’Eneide, quindi non c’è nulla di Shakespeare. Inoltre ci piaceva questa idea di sottrazione totale, di quelli che in realtà sono dei principi fondanti, scorporati dalla narrazione. Togliere Amleto sia come testo che come personaggio è stato un modo per toglierlo dalla narrazione, ma anche per  far apparire in qualche modo una diagnosi sull’opera.
Nell’epoca dei talent show, è ancora possibile il dramma?
Per me ha una connotazione di dramma molto forte, non è ovviamente una lettura che vorrei imporre, in parte  perché c’è uno spirito critico di tutto il meccanismo, non è nato come critica ai talent show, lo usa come formato esistente, soltanto che quello che generano, tra l’attore e lo spettatore, la voglia di vedere la goffaggine, il cinismo che si scatena, in qualche modo si ricollega ad una situazione drammatica, chiaramente trasposta, che genera delle morti, morti che sono date dal pubblico, ma che sono comunque la conclusione di questa relazione.
Chi c’è sotto il sacchetto, la maschera, Amleto o  il pubblico?
I personaggi, i perdenti, quelli che sono stati sotto al sacchetto fino alla fine sono quelli che più incarnano Amleto, il pubblico è proprio da un’altra parte.
Avete lavorato alla drammaturgia a quattro mani con Angelo Pedroni, come avete strutturato il lavoro? 
Non tanto come scrittura, Angelo lavora con me a tutti i progetti di Colletivo Cinetico più come dramaturg che come drammaturgo, nel senso che mi aiuta cercando di demolire il possibile, lui punta delle mine nel lavoro e nelle idee e io cerco di salvarle. Per l’Amleto è stato più o meno allo stesso modo, lui è una mente molto analitica per cui fa da filtro e tesse quelle che sono le linee drammaturgiche, poi il testo è molto funzionale, si trattava solo di calibrare il linguaggio in un certo modo e il meccanismo, perché in uno spettacolo aperto l’uso di una parola piuttosto che di un’altra rischia di generare sulla scena cose incredibili. Da questo punto di vista la drammaturgia è la calibratura di un istruzione. Il testo è sempre lo stesso, tranne quello che dico sui candidati, quindi l’azione che accade è sempre un’altra.
Che cos’è il Collettivo Cinetico?
Siamo in movimento anche sul come definirci, nel senso che ogni tanto siamo travestiti da compagnia di danza, ogni tanto da compagnia di prosa o di teatro di arte performativa in generale. Quindi siamo un assortimento forse apparentemente disordinato, un pensiero sulla scena che è mutevole, perché cambia di volta in volta quello che succede sulla scena come nell’Amleto e cambia anche l’approccio generale allo spettacolo. Per cui chi viene a vedere Amleto, se dovesse poi venire a vedere un altro lavoro potrebbe magari trovarsi davanti ad un lavoro di danza pura.
Ha ricevuto recentemente il  premio Danza & Danza e lavorato con il balletto di Roma, danzatrice e coreografa sperimentale, qual è il suo rapporto con la danza istituzionale?
A me piace, però prendendola come tutti gli ambiti che abbiamo toccato, cioè quasi in modo esotico. La dimensione dei ballerini è una variabile insolita, anche la danza non è data per scontata. La danza non come base che deve esserci, ma presa come elemento da riconsiderare da zero, secondo me può entrare nel lavoro di Collettivo Cinetico senza dover ridiscutere la tradizione o la provocazione a tutti i costi.
Valeria Bonacci 

(foto Angelo Maggio)

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