mercoledì 4 novembre 2015

Una pièce contro il pregiudizio omofobo e per la verità storica su Ferramonti


Il testo inedito di Ciro Lenti messo in scena da Adriana Toman dal titolo “Mio cognato Mastrovaknich” (visto al Piccolo dell’Unical venerdì scorso) è una storia che va oltre il tempo e il luogo in cui si colloca.
Siamo nel 1943, nella cella spoglia del campo di internamento di Ferramonti di Tarsia, ambientazione scelta per fare chiarezza storica sul luogo come l’autore stesso ha dichiarato. Qualche sedia e due lettini occupati rispettivamente da Uccio (Marco Silano), un calabrese semplicione con la fobia del giudizio altrui, e Paolo Mastrovaknich, professore polacco omosessuale (Paolo Mauro). L’intreccio fa si che la cultura del professore intersecandosi con la possibilità che egli offre ad Uccio di evadere dal campo, riesca pian piano a farne cadere i pregiudizi, fino scaturire in una profonda amicizia (difatti nel finale sarà proprio Uccio a cedere il tentativo di evasione al professore, in vista dell’ispezione nazista che condannerebbe a morte Mastrovaknich per le sue origini ebraiche).

Le scelte registiche della Toman scandiscono un tempo sempre uguale che pure nei climax sembra rimanere invariato.  Il ritmo cadenzato dal buio dei cambi scena restituisce la stessa stanza, la medesima immagine, amplificandone la percezione reprimente dell’essere rinchiusi,  stesso effetto quello prodotto dal reiterarsi di alcune azioni come lo spazzare a terra, il fumare, o stendere e raccogliere i panni, un’asfissia equilibrata dalla figura grottesca di Uccio che con la sua ingenuità e sue parole storpiate rende la pièce più leggera ma non meno riflessiva. Due figure opposte, due culture diverse quelle dei protagonisti che sembrano impersonarsi uno nell’illusione e l’altro nella disillusione. Il professore è pienamente consapevole di quello che sta accadendo fuori da Ferramonti, cosciente del genocidio che si sta compiendo, al contrario di Uccio umile fabbro intrappolato dai luoghi comuni della sua piccola realtà,  convinto di poter parlare con il “podestà” per poter risolvere il suo problema (Uccio si trova nella baracca dei gay per equivoco).
Il racconto calabrese di Lenti dal campo di Ferramonti con la sua storia misconosciuta arriva a noi come uno specchio,  restituendo chiare immagini di una realtà purtroppo attuale. Basti pensare al “voi” messo in bocca ad Uccio, quel voi che il duce imponeva ai tempi del fascismo, in Calabria ancora molto usato, ai luoghi comuni e pregiudizi ancora da sradicare e di quanto sia fondamentale la cultura per abbatterli.
Lo spettacolo, prodotto dall’associazione culturale “Arciere” e patrocinato dall’Arcigay di Cosenza, Reggio Calabria e Catanzaro, farà un'altra tappa cosentina sabato 7 novembre al Teatro dell’Acquario. 

Valeria Bonacci

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