Come promesso pubblicamente, il
candidato Mimmo Cersosimo ha consegnato di persona ai ricercatori le risposte
alle domande che venti di loro avevano posto via mail a tutti gli aspiranti
rettori. “La mail è un mezzo freddo, invece ci incontriamo, ci guardiamo negli
occhi, discutiamo e io vi do le mie risposte”, aveva detto. E così ha fatto,
giovedì 27 giugno, il giorno dopo l’incontro con i dipendenti, nell’aula
seminari di Sociologia, in una tavola rotonda che ha visto un confronto dialettico,
a tratti animato, sul futuro dell’Università. Statuto e regolamenti, didattica
e programmazione, logistica e residenzialità, rapporto con le istituzioni:
queste le quattro macroaree di discussione poste dai ricercatori.
Su Statuto e regolamenti, Cersosimo
ha le idee molto chiare e, come scritto nel programma ed annunciato più volte
pubblicamente, prevede una loro revisione in un tempo definito di 90 giorni più
30, novanta per discutere “attraverso confronti pubblici e la costituzione di
una commissione di alto profilo composta paritariamente da rappresentanti
istituzionali e non”, e trenta giorni per l’approvazione definitiva. Propone
inoltre che “il Senato accademico, rafforzato nei suoi poteri di indirizzo e
rappresentanza, non sia per forza presieduto dal rettore”.
Sulla didattica, lo scambio di
opinioni si fa più fitto. I ricercatori chiedono quali siano i criteri con cui,
secondo il candidato, si potrà ridefinire l’offerta formativa, considerate le
contrazioni richieste dal Ministero. In altre parole: su quali parametri si
giudica se un corso di laurea merita o meno di sopravvivere? Iolinda Aiello,
ricercatrice di Chimica, fa notare ad esempio che “non si può valutare il
numero di iscritti, bisogna rispettare le differenze fra corsi di laurea, perché
Chimica non può avere più di 60/70 iscritti, in quanto l’attività di
laboratorio è fondamentale e va fatta bene, e i nostri laboratori non possono
supportare più di quel numero di studenti”. Massimo La Deda sottolinea che “non
si può usare un criterio meramente aziendalistico, adeguandosi al mercato del
lavoro, peraltro estremamente variabile, si rischia di sacrificare i saperi di
base ai criteri di occupabilità”. E Isabella Nicotera semplifica “Lei
chiuderebbe un corso di laurea eccellente ma con due iscritti?”
Il candidato ascolta, sorride,
si acciglia, e infine sbotta sulle etichette. “Ma che significa aziendalista? E
come valutate voi l’eccellenza? I termini del discorso vanno chiariti, il
ragionamento va arricchito. Con due iscritti l’eccellenza è impossibile: se un
corso ha due iscritti è evidente che qualcosa non va, no? Se il problema esiste
va affrontato, affrontiamolo insieme. Entro un tempo definito, però, sei mesi. Proponiamo
l’esenzione delle tasse per chi si immatricola, o un’altra cosa... Ma io non
chiudo nulla, io non voglio diventare rettore, io voglio fare il rettore, e
farlo significa discutere, affrontare i problemi e risolverli”.
Si alza in piedi, si fa
prendere dall’entusiasmo. “La nostra attenzione alla didattica, che attualmente
è molto bassa, deve passare dall’insegnamento all’apprendimento: lo studente
deve essere al centro dell’attività didattica, non il professore”. E immagina
come incastrare il sillabo del primo anno, in modo che gli obiettivi formativi siano
coerenti con quelli da raggiungere nei tre anni, “obiettivi che ci poniamo noi,
in una discussione comune sugli studenti che vogliamo formare alla fine della
triennale e della specialistica, su quali competenze, quali curiosità, quali
modi di pensare, di ragionare e di vivere. Se abbiamo la giusta attenzione agli
studenti, fissiamo un progetto formativo e lavoriamo tutti per quel progetto, i
programmi dei corsi vanno modulati di conseguenza: se io faccio Weber, tu fai
un’altra cosa, o viceversa”. E propone meccanismi incentivanti per i docenti
che fanno una buona didattica.
Definisce poi ‘illegittimo’ il
regolamento sui carichi didattici dei ricercatori e si mostra contrario all’ipotesi
di affidare la didattica agli assegnisti di ricerca. E a chi gli chiede una
risposta chiara su Medicina all’Unical, risponde che “bisogna pensare in un’ottica
di sistema, dialogando con Catanzaro e mettendo al centro il malato e i bisogni
sanitari del territorio”.
La discussione si porta avanti
per quasi tre ore. Sul punto della residenzialità, come in altre occasioni, sposta
l’attenzione dalla privatizzazione sì/privatizzazione no alla premessa e cioè a
cosa vuole fare l’università, “se vogliamo fare gli affittacamere, il privato è
meglio, se invece vogliamo ricreare una comunità, allora dobbiamo gestire
direttamente”.
E infine, sul rapporto con gli
enti, ragiona volentieri intorno alla Crui, la Conferenza dei rettori. “Conosco
tutti i limiti di questo organo, ma io non sottovaluterei il ruolo della Crui
nel rapporto con il Ministero, non rinuncerei a priori perché finora ha fatto
male. Io credo nella dinamicità delle istituzioni, una tessera può cambiare il
mosaico: starci dentro per cambiarla, non per fare il fronte delle università
virtuose”.
Daniela Ielasi
Nessun commento:
Posta un commento