Si è spenta ieri Margherita D’Aprile, apprezzatissima
docente di Matematica dell’Università della Calabria. Barese di Putignano,
laureata in Matematica a Milano, ha insegnato all’Unical dal ‘73 al 2011, anno
in cui è andata in pensione. Le sue ricerche si sono concentrate sulla
didattica della matematica e della geometria nelle scuole, e sulle difficoltà
dell’insegnamento e dell’apprendimento.
Margherita D’Aprile lascia un ricordo indelebile negli
studenti che l’hanno conosciuta: dolcissima, ironica, sempre sorridente e preparatissima,
capace come pochi di trasmettere agli altri l'amore per la matematica.
Da quando si è diffusa la notizia, la sua bacheca facebook è inondata di
affettuosi messaggi di saluto e ricordi di suoi studenti e laureati. “Vivrà per sempre – scrive Federica - negli studenti ai
quali ha trasmesso la passione per quel mondo magico della geometria, che lei
vedeva ad occhi chiusi e raccontava come una favola divertente”. “Infinite grazie – scrive Anna Rosa - per avermi trasmesso
l’entusiasmo che ogni giorno cerco di portare tra i miei studenti”.
Il nostro giornale perde una
lettrice attenta e speciale: aveva scelto di seguirci e sostenerci anche dopo
il pensionamento, il suo incoraggiamento ci incitava a proseguire. Lo
scorso anno l’aveva colpita un dolore grandissimo, la scomparsa del marito
Giovanni Anania, anche lui docente Unical.
Chissà che adesso non sorridano
ancora insieme.
Per ricordarla al meglio, pubblichiamo di seguito un suo intervento sul
nostro giornale, apparso in occasione del quarantennale dell’ateneo: un
insegnamento per tutta la comunità universitaria e per le generazioni a venire.
“La piccola università di allora era una comunità vivace”
(Fatti Al Cubo, 17 gennaio 2012)
(Fatti Al Cubo, 17 gennaio 2012)
Per me tutto è
cominciato a Milano, nel ‘72, con i racconti del mio “capo”, Carlo Felice
Manara (membro del comitato ordinatore) su un interessante esperimento,
innovativo, di università residenziale, nel
profondo Sud. Proprio nel Sud da cui si era mosso un mio nonno
carabiniere. Sono arrivata a Cosenza in una domenica di ottobre del ‘72, con
una decina di giovani matematici raccolti velocemente in settembre, in giro per l’Italia, da Manara su mandato del
rettore Andreatta, per un minicorso introduttivo di matematica. Il “corso di
azzeramento” di fatto aveva lo scopo “politico” di dimostrare che l’Università
della Calabria era nata, esisteva, anche se non c’era una sede, e le resistenze
locali erano fortissime...
Il mese del corso “di
azzeramento” è stato sufficiente a conquistarmi alla causa: questo esperimento
doveva andare avanti. Sono tornata in Calabria come “professore incaricato
stabilizzato” il 21 ottobre del ‘73, per collaborare all’apertura del corso di
laurea in Matematica, usufruendo di un “congedo
temporaneo” dall’Università di Milano: non sapevo allora che quest’impresa mi
avrebbe conquistata a vita. La piccola università degli anni 73-76 era una
comunità vivace: noi docenti, in media molto giovani, ci conoscevamo tutti, e
in molti condividevamo la fiducia nella possibilità di creare una comunità di
studio, ricerca e convivenza civile diversa dagli istituti gerarchizzati e
soffocanti da cui venivamo. In molti, nei primi anni, abitavamo al centro
residenziale; credevamo che proprio il centro residenziale potesse essere il
catalizzatore di una rivoluzione culturale tra i ragazzi e le ragazze
(soprattutto loro) che venivano da paesi montani. Ero molto orgogliosa del “numero
chiuso” previsto solo per la nostra Università, perché mi bastava guardarmi
intorno nel centro residenziale e a mensa per capire che molti, tra quei primi
studenti, non avrebbero mai potuto permettersi di lasciare i loro paesi per
andare a studiare fuori regione.
Ora è tutto molto
diverso, in questo grande ateneo, il mio giudizio sull’attualità accademica
italiana (e di conseguenza su quella della nostra università) è pessimistico.
Le riforme che si sono susseguite non sono state nella linea prefigurata dalla
legge istitutiva e dal primo statuto di questa Università; oggi le gerarchie
accademiche sono più soffocanti e le possibilità di controllo dal basso minori
di quanto non fossero nell’Università “dei baroni” degli anni sessanta. Meglio
sorvolare. Piuttosto, potrei forse raccontare ancora, sul piano personale, come
il confronto tra gli inizi (i capannoni prefabbricati, gli studi nei palazzi di
Roges, l’isolamento delle maisonettes, la conquista dei telefoni a gettone, dover
andare per tutto a Cosenza, a cominciare dalla riscossione dello stipendio...)
e le realizzazioni di oggi mi rempia di gioia; mi trattengo a fatica dal
predicare ai ragazzi, per i quali tutto quello che c’è è scontato, che quaranta
anni fa pochi avrebbero scommesso che una vera Università fosse realizzabile in
Calabria. E subito però mi viene da protestare per la trascuratezza nella
manutenzione, la mancanza di rispetto per i beni comuni... c’è ancora molto da
costruire, ma non fisicamente, non con mattoni e cemento. Ma meglio non
amareggiare i lettori con queste mie considerazioni sull’oggi.
Margherita D’Aprile - docente Unical
Grazie a "Fatti al Cubo" per il bel ricordo sulla figura di Margherita. E grazie per averne riportato quell'intervento, che riassume in pieno da una parte l'entusiasmo che lei aveva - e riusciva a trasmettere! - per le sue idee, e dall'altro la sua dedizione all'Università della Calabria, a cui di fatto ha dedicato quasi tutta la sua vita da adulta. Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere Margherita (e poi Giovanni), come suoi colleghi di Dipartimento, fin dal 1976. Ne siamo diventati amici subito, e per quasi vent'anni abbiamo condiviso gli entusiasmi, le delusioni e anche le polemiche di quel periodo. Facevamo polemiche, anche tra noi stessi, perchè credevamo nelle idee (negli "ideologismi", direbbe oggi qualcuno) che allora circolavano sull'Università e sulla sua missione. Per essere concreti e non lasciarci andare alle lacrime dall'affetto per queste due straordinarie persone, vogliamo riportare uno dei passi più significativi dell'articolo di Margherita:
RispondiEliminaLa piccola università degli anni 73-76 era una comunità vivace: noi docenti, in media molto giovani, ci conoscevamo tutti, e in molti condividevamo la fiducia nella possibilità di creare una comunità di studio, ricerca e convivenza civile diversa dagli istituti gerarchizzati e soffocanti da cui venivamo. In molti, nei primi anni, abitavamo al centro residenziale; [...] mi bastava guardarmi intorno nel centro residenziale e a mensa per capire che molti, tra quei primi studenti, non avrebbero mai potuto permettersi di lasciare i loro paesi per andare a studiare fuori regione.
Margherita descrive in essenza quel periodo storico (che chiameremmo "degli stivali" in ricordo del fango di quell' enorme cantiere che era allora l'Università della Calabria)
e anche ideale, e mette in luce in modo perfetto le due funzioni centrali che l'Università deve svolgere: creare una comunità di studio e ricerca, e fare da "ascensore sociale" per lo sviluppo culturale e civile della nazione. Ha ben ragione Margherita di indicare, poco appresso nel suo articolo, il deludente confronto con le politiche universitarie odierne: e se possiamo aggiungere qualcosa al suo pensiero, diremmo che la crisi delle iscrizioni, la obbligata fuga all'estero di tanti giovani ricercatori e il rischio di svuotamento soprattutto delle università meridionali nel loro complesso, sarà superata solo con grandi investimenti di uomini e mezzi: ma per mobilitare questi, ci vorranno sopratutto le idee e l'entusiasmo (diremmo la fede, per quanto laica) di persone come Margherita.
Raffaele Chiappinelli e Rita Nugari
Università di Siena