“Chini
su’?” Per i cosentini che cercano riparo dall’afa su corso Mazzini in un tardo
pomeriggio d’estate, i cinque che si passano il microfono seduti non proprio
comodamente in piazza Kennedy fra le bandiere della Cgil, “su chiri i
l’università”. Escluso Mimmo Cersosimo che qualcuno riconosce come
“l’assessore”, e al netto dell’alto tasso di ‘cosentinità’ fra di loro (4 su 5
sono della provincia), i candidati a rettore invitati ieri dal
sindacato a ragionare sul rapporto fra università e territorio, appaiono
quasi come un miraggio “fuori dalle mura” dell’ateneo. Cittadini curiosi pochi,
supporters assai: professori e ricercatori, qualche dipendente e un gruppetto
di studenti.
Sono
Gianfranco Trotta, Pino Assalone e Marisa Fasanella, della FLC Cgil, a
introdurre e moderare il dibattito, ponendo le prime domande ai candidati e
lasciando loro pochi minuti per rispondere. I temi cari al sindacato sono la
mission dell’ateneo sul territorio, il modello Campus, l’esternalizzazione dei
servizi, la nuova governance e il ruolo del personale.
Nelle
loro risposte i candidati convergono tutti sul rilancio di un modello di Campus,
più o meno aperto al territorio, che sappia contaminare senza contaminarsi
troppo. “Noi dobbiamo passare dalla città con l’università alla città
universitaria – spiega Cersosimo – diventando un esempio di vita comunitaria
immune ai vizi esterni”. Dello stesso avviso Marcello Maggiolini che però parla
di “città unica”, maggiormente integrata dall’Unical al centro storico. Più
affezionato alle mura, Gino Crisci propone la rifondazione di “un Campus dotato
di tutti i servizi necessari alla residenzialità oltre che di strutture
culturali fortemente attrattive”. Ancora più netto Girolamo Giordano, che boccia
gli enti locali specie sul servizio trasporti, caro e carente: “se questo è il
territorio, allora è meglio non avere rapporti”. Mentre Patrizia Piro parte
dall’antefatto e ribadisce la necessità di “un’università (e di un rettore)
libera da condizionamenti politici, presupposto necessario per un dialogo alla
pari con qualsiasi interlocutore istituzionale”, dal Comune di Cosenza al
Ministero. Nessuno sembra particolarmente propenso ad innesti dell'Unical in città, già tutti abbondantemente falliti.
Il
ragionamento scende anche nel concreto, con una serie di proposte per la
mobilità sostenibile, i parcheggi a pagamento, la chiusura al traffico privato,
le biciclette. Un campus verde insomma, anche con produzione autonoma di
energie rinnovabili e raccolta differenziata dei rifiuti. E la gestione dei
servizi affidata a cooperative di studenti, come nei campus americani, altro
che esternalizzazione dei servizi. Praticamente tutto l'opposto di quanto realizzato fino ad oggi, ma con il caldo non c'è tempo per le critiche all'esistente: "no alla sindrome del fallimento" è lo slogan pronto del professor Cersosimo.
Sulla
governance, tutti convinti di rimettere mano allo Statuto e ai regolamenti, con
qualche disaccordo sui tempi necessari per farlo. Mentre sul ruolo del
personale, le parole comuni sono valorizzazione, diritto di rappresentanza negli
organi, normali relazioni sindacali, ma nessuno tocca il tasto più dolente, per
rispetto degli organizzatori: quasi l'intero FFO va via in stipendi, non ci
sono fondi per le progressioni, la pianta organica dell’ateneo è numerosa ma
non pienamente efficiente, c'è chi lavora troppo e chi troppo poco, anche i dipendenti dell'Unical in tempi di crisi appaiono privilegiati da fuori le mura. Ergo, il programma
del rettore può essere il più bello del mondo, ma se il personale non ritrova
entusiasmo ed orgoglio d’appartenenza, misti a un po’ di spirito di sacrificio,
non si andrà molto lontano.
Daniela
Ielasi
Se la potevano risparmiare sta comparsata.
RispondiElimina