È facile soffermarsi a pensare che esistano diversi modi di fare le cose, diverse alternative rispetto quelle convenzionali, perché forse è proprio vero che un altro mondo è possibile o meglio altri mondi sono possibili, e ancor prima concepibili, pensabili.
Quello che a volte è quasi un buon proposito, un ideale per chi si “ostina” ad averne, un’utopia verso la quale romanticamente ed indefinitamente tendere, può esser più concreto di quanto possiamo pensare; ne sono una riprova le testimonianze che abbiamo potuto raccogliere in occasione del forum di apertura del progetto “Educazione al co-sviluppo”. Tale progetto voluto da GAO-Cooperazione Internazionale, organizzazione non governativa che ha sede proprio all’Unical, non ha come obiettivo quello di lavorare per i migranti, ma con i migranti, e nella prospettiva di aiutarli non solo nella soluzione dei problemi che in quanto propriamente migranti incontrano nei paesi del nord del Mondo, ma anche rispetto quelli che vivono nei paesi d’origine.
Il professore Giordano Sivini ricorda come la cooperazione allo sviluppo sia stata per molti anni un’operazione di contenimento del comunismo e si potrebbe dire che alla luce di decenni di programmi volti a migliorare le condizioni materiali dei paesi in via di sviluppo – le ex colonie dell’Africa, ma anche paesi del Sud America, nonché del continente Asiatico – i risultati ottenuti sono stati spesso discontinui, deficitarii, e soprattutto han finito col riverberarsi positivamente, economicamente parlando, sui paesi “donatori” del nord del Mondo e molto meno su quelli del sud, che invece negli intenti dichiarati avrebbero dovuto veder risollevate le loro sorti.
È sulla base di queste motivazioni che GAO ha elaborato, in collaborazione con altre due ONG europee, INDE (Intercooperaçao e Desenvolvimento – Portogallo) e GRDR (Migration, citoyenneté, développement- Francia) il progetto “Educazione al co-sviluppo”.
“L’approccio del co-sviluppo si fonda sull’idea che nell’ambito della cooperazione internazionale occorre valorizzare l’essenziale ruolo dei migranti, detentori di esperienze, competenze e legami con le comunità di origine. Concepiti come “cittadini fra due spazi”, i migranti devono essere sostenuti sia nei contesti di arrivo sia nei processi di trasformazione che riguardano i luoghi di provenienza”.
Poiché in decenni di “aiuti” i maggiori beneficiari sono stati i paesi donatori e i governi, le amministrazioni, dei paesi che ricevevano sostegni, a tutto scapito delle popolazioni, si fa strada dunque l’idea che un ritorno, o meglio una continuazione della visione dell’uomo bianco civilizzatore, esportatore di democrazia e benessere, non può che peggiorare situazioni già al limite. Pertanto piuttosto che imporre un modus operandi che diamo per scontato esser quello giusto, si potrebbe iniziare a pensare, e per fortuna c’è già chi lo fa, alla necessità di coinvolgere le popolazioni che saranno destinatarie ultime di decisioni che vengono prese in luoghi troppo troppo “distanti” per esser aderenti alle realtà in cui andranno ad impattare.
I “buoni” del nord del Mondo non possono pensare di paternalisticamente progettare e realizzare programmi, oltretutto onerosi, con cui omaggiare quasi i “ meno fortunati ” del sud.
L’incontro promosso ha portato alla nostra conoscenza l’esistenza di esperienze positive che vanno proprio nella direzione opposta rispetto il classico modo di concepire la cooperazione allo sviluppo. Ci riferiamo a due esperienze riuscite di cooperazione decentrata, dal basso, promossa da immigrati che vivono e lavorano ormai da diversi anni in Italia e che con la loro intraprendenza contribuiscono non solo al miglioramento delle comunità di immigrati in Italia, ma anche di quelle che vivono nei villaggi dei paesi d’origine.
La prima significativa testimonianza ci viene raccontata da Thomas McCarthy che per prima cosa ricorda che siamo tutti cittadini della terra.
Thomas è presidente della Ghanacoop, una cooperativa che opera tra Ghana e Italia, in una regione, l’Emilia Romagna, che vanta una lunga tradizione nel settore delle cooperative. La Ghanacoop, nata nel 2005 è da subito diventata un modello di successo di sviluppo autosostenuto. Tra le attività nelle quali la cooperativa è impegnata da segnalare l'importazione in Italia dell'ananas ghanese equosolidale, nonché la diretta coltivazione e produzione in Ghana di ananas, mais, pomodori e altri prodotti ortofrutticoli e, se possibile, biologici, da destinare tanto sul mercato internazionale che su quello locale, e ancora importazione di prodotti agroalimentari ghanesi e senegalesi ed artigianato etnico sub-sahariano ed esportazione di prodotti agroalimentari italiani, ma anche attività sociali quali il tentativo di illuminare col fotovoltaico villaggi ancora sprovvisti di illuminazione.
Altra best practice potremmo dire è quella di cui racconta Modou Gueye, senegalese che vive a Milano, che ha fondato insieme ad altri immigrati l’associazione Sunugal. Modou dice che è l’associazione degli analfabeti, benché parli benissimo in italiano, perché non vuol fare grandi cose, grandi cambiamenti, ma piccoli cambiamenti, sul posto, nei villaggi in Senegal dai quali il flusso di immigrati è costante. Moudou parla ancora degli ostacoli che nella sua attività ha incontrato nei confronti degli anziani, e delle donne, le sole difatti che abitano i villaggi che vengono lasciati in massa da quegli uomini che vediamo quotidianamente sbarcare sulle nostre coste. Ostilità riscontrata perché il cambiamento non è sempre indolore, e perché lui si è ostinato a cercar di far capire alla sua gente che in quei villaggi non c’è bisogno di beni materiali o lussuosi importati di tanto in tanto dal nord del Mondo, ma di piccole cose, di micro-progetti, e dunque è partito dall’agricoltura, convincendo giovani universitari del Senegal a trasferirsi nei villaggi per aiutare le comunità ad implementare nuove tecniche di coltivazione, dando poi grande importanza all’alfabetizzazione soprattutto delle donne e alla realizzazione di scuole di formazione di taglio e cucito per ragazzi e ragazze delle periferie delle città senegalesi.
Per chi si fosse incuriosito rimandiamo ai siti delle due associazioni (www.sunugaal.it e www.ghanacoop.it ) che, sebbene in modi differenti, dimostrano che un altro modello di sviluppo è possibile, “contando sulle proprie forze”, massima che il leader carismatico Thomas Sankaran ha saputo lasciare in eredità a giovani come Thomas e Modou.
Quello che a volte è quasi un buon proposito, un ideale per chi si “ostina” ad averne, un’utopia verso la quale romanticamente ed indefinitamente tendere, può esser più concreto di quanto possiamo pensare; ne sono una riprova le testimonianze che abbiamo potuto raccogliere in occasione del forum di apertura del progetto “Educazione al co-sviluppo”. Tale progetto voluto da GAO-Cooperazione Internazionale, organizzazione non governativa che ha sede proprio all’Unical, non ha come obiettivo quello di lavorare per i migranti, ma con i migranti, e nella prospettiva di aiutarli non solo nella soluzione dei problemi che in quanto propriamente migranti incontrano nei paesi del nord del Mondo, ma anche rispetto quelli che vivono nei paesi d’origine.
Il professore Giordano Sivini ricorda come la cooperazione allo sviluppo sia stata per molti anni un’operazione di contenimento del comunismo e si potrebbe dire che alla luce di decenni di programmi volti a migliorare le condizioni materiali dei paesi in via di sviluppo – le ex colonie dell’Africa, ma anche paesi del Sud America, nonché del continente Asiatico – i risultati ottenuti sono stati spesso discontinui, deficitarii, e soprattutto han finito col riverberarsi positivamente, economicamente parlando, sui paesi “donatori” del nord del Mondo e molto meno su quelli del sud, che invece negli intenti dichiarati avrebbero dovuto veder risollevate le loro sorti.
È sulla base di queste motivazioni che GAO ha elaborato, in collaborazione con altre due ONG europee, INDE (Intercooperaçao e Desenvolvimento – Portogallo) e GRDR (Migration, citoyenneté, développement- Francia) il progetto “Educazione al co-sviluppo”.
“L’approccio del co-sviluppo si fonda sull’idea che nell’ambito della cooperazione internazionale occorre valorizzare l’essenziale ruolo dei migranti, detentori di esperienze, competenze e legami con le comunità di origine. Concepiti come “cittadini fra due spazi”, i migranti devono essere sostenuti sia nei contesti di arrivo sia nei processi di trasformazione che riguardano i luoghi di provenienza”.
Poiché in decenni di “aiuti” i maggiori beneficiari sono stati i paesi donatori e i governi, le amministrazioni, dei paesi che ricevevano sostegni, a tutto scapito delle popolazioni, si fa strada dunque l’idea che un ritorno, o meglio una continuazione della visione dell’uomo bianco civilizzatore, esportatore di democrazia e benessere, non può che peggiorare situazioni già al limite. Pertanto piuttosto che imporre un modus operandi che diamo per scontato esser quello giusto, si potrebbe iniziare a pensare, e per fortuna c’è già chi lo fa, alla necessità di coinvolgere le popolazioni che saranno destinatarie ultime di decisioni che vengono prese in luoghi troppo troppo “distanti” per esser aderenti alle realtà in cui andranno ad impattare.
I “buoni” del nord del Mondo non possono pensare di paternalisticamente progettare e realizzare programmi, oltretutto onerosi, con cui omaggiare quasi i “ meno fortunati ” del sud.
L’incontro promosso ha portato alla nostra conoscenza l’esistenza di esperienze positive che vanno proprio nella direzione opposta rispetto il classico modo di concepire la cooperazione allo sviluppo. Ci riferiamo a due esperienze riuscite di cooperazione decentrata, dal basso, promossa da immigrati che vivono e lavorano ormai da diversi anni in Italia e che con la loro intraprendenza contribuiscono non solo al miglioramento delle comunità di immigrati in Italia, ma anche di quelle che vivono nei villaggi dei paesi d’origine.
La prima significativa testimonianza ci viene raccontata da Thomas McCarthy che per prima cosa ricorda che siamo tutti cittadini della terra.
Thomas è presidente della Ghanacoop, una cooperativa che opera tra Ghana e Italia, in una regione, l’Emilia Romagna, che vanta una lunga tradizione nel settore delle cooperative. La Ghanacoop, nata nel 2005 è da subito diventata un modello di successo di sviluppo autosostenuto. Tra le attività nelle quali la cooperativa è impegnata da segnalare l'importazione in Italia dell'ananas ghanese equosolidale, nonché la diretta coltivazione e produzione in Ghana di ananas, mais, pomodori e altri prodotti ortofrutticoli e, se possibile, biologici, da destinare tanto sul mercato internazionale che su quello locale, e ancora importazione di prodotti agroalimentari ghanesi e senegalesi ed artigianato etnico sub-sahariano ed esportazione di prodotti agroalimentari italiani, ma anche attività sociali quali il tentativo di illuminare col fotovoltaico villaggi ancora sprovvisti di illuminazione.
Altra best practice potremmo dire è quella di cui racconta Modou Gueye, senegalese che vive a Milano, che ha fondato insieme ad altri immigrati l’associazione Sunugal. Modou dice che è l’associazione degli analfabeti, benché parli benissimo in italiano, perché non vuol fare grandi cose, grandi cambiamenti, ma piccoli cambiamenti, sul posto, nei villaggi in Senegal dai quali il flusso di immigrati è costante. Moudou parla ancora degli ostacoli che nella sua attività ha incontrato nei confronti degli anziani, e delle donne, le sole difatti che abitano i villaggi che vengono lasciati in massa da quegli uomini che vediamo quotidianamente sbarcare sulle nostre coste. Ostilità riscontrata perché il cambiamento non è sempre indolore, e perché lui si è ostinato a cercar di far capire alla sua gente che in quei villaggi non c’è bisogno di beni materiali o lussuosi importati di tanto in tanto dal nord del Mondo, ma di piccole cose, di micro-progetti, e dunque è partito dall’agricoltura, convincendo giovani universitari del Senegal a trasferirsi nei villaggi per aiutare le comunità ad implementare nuove tecniche di coltivazione, dando poi grande importanza all’alfabetizzazione soprattutto delle donne e alla realizzazione di scuole di formazione di taglio e cucito per ragazzi e ragazze delle periferie delle città senegalesi.
Per chi si fosse incuriosito rimandiamo ai siti delle due associazioni (www.sunugaal.it e www.ghanacoop.it ) che, sebbene in modi differenti, dimostrano che un altro modello di sviluppo è possibile, “contando sulle proprie forze”, massima che il leader carismatico Thomas Sankaran ha saputo lasciare in eredità a giovani come Thomas e Modou.
28/06/2007 - Paola Staffa
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