Fotocopiare libri si sa è illegale, a meno di non limitarsi al 15 per cento. Eppure generazioni di studenti dell’Unical sanno bene dove andare a comprare, esame per esame, i volumi copiati senza riserva alcuna e rispetto del diritto d’autore. Chi lo fa, che sorprendentemente sfugge anche ogni genere di controllo al di fuori di pro-forma che constatano l’ordinaria vendita di penne e matite e che non si accorgono affatto di un’attività assai lucrosa, svolta al riparo da qualunque riflettore, certo non lo immaginava proprio la fortuna (materiale) nascosta tra le pagine dei libri. Bisogna ammettere che se ci fossero più docenti che pretendono dai loro studenti l’acquisto dell’originale dell’ultima opera da loro stessi firmata, questo business di discutibile legalità dei libri fotocopiati verrebbe a una fine.
Ma come si fa ad avere la faccia di obbligare degli studenti a comprare il proprio libro? Impresa difficile, la faccia per farlo in modo diretto nessuno la tiene, ma il modo per riuscirci, visto che siamo in accademia e le intelligenze qui abbondano, si trova, eccome. Pensate che il metodo è così efficace che qualcuno è addirittura arrivato a comprare due copie dello stesso testo, prima alla triennale e poi alla specialistica, e non si tratta neanche di matricole intimorite al primo impatto con l’Università. Il trucco che sta alla base del funzionamento di un affare tanto volgare quanto miserabile, visto che da questa vendita un autore guadagna degli “arrotondamenti”, è uno sconto sull’esame. La tentazione è allora grande, posso scegliere se sostenere un esame su due, massimo tre argomenti che ho concordato e sottoscritto col docente sulla mia copia del suo libro, o posso scegliere di risparmiare questi 15-20 euro andare a studiare in biblioteca e quindi l’esame normale, a sorpresa, come funziona nella maggior parte dei casi. Si capisce bene che nella corsa al credito fuggente e nell’Università ispirata più dalla necessità di fornire un pezzo di carta che cinque anni di vita, le strade più corte sono quelle più frequentate, e pacchi di libri portati in aula da assistenti condiscendenti o troppo sottomessi per rifiutare un compito pietoso, son presto esauriti. Resta la perplessità, enorme di fronte a un costume di così bassa estrazione che diventa sgomento quando si pensa alla facilità di predica di docenti, presidi, rettori incapaci, è evidente di comportarsi secondo dei comuni criteri di civiltà. Vincolati l’uno all’altro da altri codici, di stampo piuttosto mafioso, per cui non denuncio il marcio del collega, ma mi faccio i fatti miei sicuro che questa discrezione e questa specie di solidarietà tra compari mi tornerà utile.
Ma come si fa ad avere la faccia di obbligare degli studenti a comprare il proprio libro? Impresa difficile, la faccia per farlo in modo diretto nessuno la tiene, ma il modo per riuscirci, visto che siamo in accademia e le intelligenze qui abbondano, si trova, eccome. Pensate che il metodo è così efficace che qualcuno è addirittura arrivato a comprare due copie dello stesso testo, prima alla triennale e poi alla specialistica, e non si tratta neanche di matricole intimorite al primo impatto con l’Università. Il trucco che sta alla base del funzionamento di un affare tanto volgare quanto miserabile, visto che da questa vendita un autore guadagna degli “arrotondamenti”, è uno sconto sull’esame. La tentazione è allora grande, posso scegliere se sostenere un esame su due, massimo tre argomenti che ho concordato e sottoscritto col docente sulla mia copia del suo libro, o posso scegliere di risparmiare questi 15-20 euro andare a studiare in biblioteca e quindi l’esame normale, a sorpresa, come funziona nella maggior parte dei casi. Si capisce bene che nella corsa al credito fuggente e nell’Università ispirata più dalla necessità di fornire un pezzo di carta che cinque anni di vita, le strade più corte sono quelle più frequentate, e pacchi di libri portati in aula da assistenti condiscendenti o troppo sottomessi per rifiutare un compito pietoso, son presto esauriti. Resta la perplessità, enorme di fronte a un costume di così bassa estrazione che diventa sgomento quando si pensa alla facilità di predica di docenti, presidi, rettori incapaci, è evidente di comportarsi secondo dei comuni criteri di civiltà. Vincolati l’uno all’altro da altri codici, di stampo piuttosto mafioso, per cui non denuncio il marcio del collega, ma mi faccio i fatti miei sicuro che questa discrezione e questa specie di solidarietà tra compari mi tornerà utile.
28/05/2007 - Rossella Zaffino
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