A
dieci anni dal debutto dietro la macchina da presa Pablo Larraìn prosegue la
sua indagine sulla Storia cilena e i suoi rapporti con il potere: dalla
trilogia dedicata al golpe (Tony Manero,
Post Mortem, No), passando per le autorità ecclesiastiche di El Clùb, fino alla Repubblica cilena in
clima da guerra fredda in Neruda,
presentato alla Quinzaine dell’ultimo Festival di Cannes.
In
Tony Manero e Post Mortem lo sguardo della macchina da presa era secco e
alienato, quasi in convergenza con quello dei personaggi, un criminale che si
identifica con l’italoamericano interpretato da John Travolta ne La febbre del sabato sera e un impiegato
dell’obitorio che assiste all’autopsia del cadavere di Salvador Allende.
Seguendo le vicissitudini del pubblicitario in No l’immagine si deforma, Larraìn utilizza una videocamera Ikegami
degli anni Ottanta e il formato 4:3, lo stesso dello spot televisivo ideato per
la campagna referendaria, quasi a suggerirne un prolungamento nella diegesi del
film. El Clùb è la somma di questi
due stili, minimalismo e lenti anamorfiche che dilatano o restringono lo spazio,
affrontando di petto lo spinoso problema della pedofilia clericale. Ripercorrere
la carriera del regista cileno è necessario per individuare le linee guida
della sua poetica e per acquisire gli strumenti utili ad identificare lo strano
oggetto Neruda, un film che si
interroga sulla sua stessa genealogia e sulla Storia intesa come processo
reversibile, legata al cappio delle narrazioni e dell’immaginario.
Pablo
Neruda è un senatore della Repubblica che osteggia la deriva autoritaria del
governo guidato dal presidente Videla reo di aver tradito il partito comunista
svendendo il Cile all’alleato yankee. Di contro viene orchestrato un mandato di
arresto costringendo il poeta a fuggire con la moglie dal proprio paese,
braccato dall’ispettore Oscar Pelucheonneau, forse il figlio illegittimo del
fondatore della polizia cilena o semplicemente il figlio di una prostituta. Lontano
dal dipingere un’agiografia confortante Larraìn delinea una figura ambigua,
edonistica, a tratti impacciata, un corpo alla ricerca di un’utopia politica
forse irraggiungibile, dedito ai piaceri della vita ma distaccato dal popolo
che sostiene di difendere, tranne poi cedere alla pietas nella trasferta di
Valparaiso, donando a una giovane bambina dal volto infangato un abbraccio, una
giacca e un libro.
Neruda attraverso le
sue composizioni poetiche si fa portavoce di un ideale concreto, in grado di
smuovere la sensibilità e gli umori della popolazione; allo stesso tempo è pura
astrazione: la fisicità del poeta si trasforma in una spiritualità che ondeggia
da un capo all’altro del paese e il film si interroga su come inseguirla, su
come inquadrarla. È così per l’investigatore Pelucheonneau: Neruda è un
fantasma, un’ossessione inafferrabile, utopico come l’ideale; la sua ragion d’essere
è legata a stretto filo a quella del poeta, questo fa di lui un personaggio secondario?
A chiederselo è lo stesso popolo, nel film quasi evaporato ma sempre al centro
della discussione, incarnato dalla brilla militante che durante una festa
domanda: “quando finalmente arriverà il comunismo saremo tutti come te, o
somiglierete tutti a me?” ad evidenziare lo scarto sociale che separa il popolo
dal poeta. Il percorso di ricerca però segue una pista contraria, anche Neruda
vuole essere cercato e per far questo lascia tracce, contamina la sua fuga,
lancia urli nell’innevata cordigliera andina in un finale da western
crepuscolare. Ma l’incontro con Oscar, non più poliziotto ma rinato figlio del
popolo attraverso un processo di agnizione interiore tra la neve e i pioppi, è
ancora una volta mancato.
In
Neruda c'è un'esplosione di stili e una
vivacità impressionanti, con cambiamenti di tono repentini e un'artificiosità
palpabile mai fastidiosa ma al contrario sublime. Un biopic sul poeta cileno
subisce il depistaggio dell’autore, falsificando la Storia, attraversando
diversi generi e inseguendo delle scelte che farebbero impallidire i produttori
hollywoodiani. Ad esempio nella sequenza iniziale durante una festicciola nella
maisòn Neruda abbiamo tre bande sonore: Neruda che recita dei versi, musica
allietante a suggellare il momento poetico e il fastidioso mormorio contrariato
della voce fuori campo: come un disturbo, un virus, a intermittenza, come
l’insegna al neon di un hotel, la voce di Oscar si interpone al crocicchio tra
la rappresentazione della Storia e il suo ribaltamento.
Silvio
Scarpelli
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