C’è Teatro e “teatro”. Prima di iniziare il suo componimento, Alain Badiou, grande
pensatore francese dei nostri giorni (filosofo, drammaturgo e scrittore),
sottolinea questa opposizione. È Rhapsodie
pour le Théâtre. Court traité philosophique (Puf, Paris 2014) il cuore del
libro curato da Francesco Ceraolo Rapsodia per il teatro. Arte, politica,
evento la nuova uscita di “Frontiere. Oltre il
cinema”, collana diretta da Roberto De Gaetano (Pellegrini Editore, marzo 2015), che racchiude il pensiero filosofico di Badiou
sul teatro contemporaneo. Oltre alla Rapsodia
Ceraolo traduce una serie di conferenze e altri scritti di Badiou (dal ‘95 al 2012), tutti ancora inediti in lingua italiana,
offrendone un'importante, anzi necessaria riflessione.
Rapsodia nasce da
una raccolta di articoli pubblicati dall’autore per quella che era la rivista
del Théâtre National Populaire, L’Art du théâtre, che contengono riflessioni maturate
grazie al lavoro svolto negli anni precedenti con Antoine Vitez, allora
direttore del TNP. Perché Alain Badiou nelle prime pagine del trattato trattato
evidenzia questa differenza specificando quindi che la sua “analisi” si
riferisce al Teatro e non al "teatro" con la t minuscola (ovvero
quello "di boulevard", di puro intrattenimento)? «Chiamo Teatro,
senza virgolette- scrive Badiou- una produzione che organizza i sette elementi
costitutivi- luogo, testo, regista, attore, scenografia, costumi, pubblico- di ogni analitica del Teatro (o anche del
“teatro”, l’analitica non fa distinzioni) in modo tale che essa possa proferire
su se stessa e sul mondo, e che l’intreccio di questa doppia proferenza conduca
lo spettatore all’impasse di un pensiero»; ma il Teatro rischia di essere
dissimulato dal suo opposto, ovvero il “teatro” marchiato, quindi
riconoscibile, «con un segno identitario, costituito dalla classe o dalla
opinione» (da “Rapsodia” pag 78). Il
Teatro vero, al contrario, non è l’espressione di un pensiero, ma
rappresentazione di uno stato di cose. E' il punto di partenza di un complesso
quanto “necessario” percorso che non solo volge lo sguardo al pensiero
filosofico, che da Platone passa per Marx e arriva ad essere concepito nella
sua Raspodia - giungendo anche al
punto estremo, se non fuorviante, di un Teatro obbligatorio (il discorso
ovviamente non potrebbe ridursi a questo) -, ma che soprattutto intende
proporre una lucida analisi di teoria e prassi del panorama contemporaneo,
sottolineandone le criticità. Non è un caso infatti che il testo introduttivo
al “Breve trattato filosofico” Badiou lo titoli Gloria del teatro nei tempi oscuri.
Tra le necessarie condizioni per l’esistenza del teatro, la
parte analitica è resa dinamica, quindi operativa, da una dialettica
(spettatore, morale, Stato). Lo spettatore, il pubblico, che Badiou identifica
con quella che Mallarmé chiama “folla”, assume il ruolo del filosofo, per cui esso
viene “convocato nel tribunale di una moralità sotto l’occhio vigile dello
Stato” (pag 31). Ciò accade secondo il
principio per cui «l’arte deve essere sempre considerata in se stessa una
procedura di verità», come Ceraolo scrive nella esaustiva introduzione al volume
intitolata Per un’inestetica del teatro,
che ci introduce agli scritti teorici di Badiou: «Il teatro - spiega Ceraolo (pag 29) – produce delle verità,
singolari o immanenti. Queste verità […] sono essenzialmente teatrali e possono prodursi unicamente sulla scena a
seguito di una procedura che ha come punti limite da un lato il testo scritto e
dall’altro lo spettatore». E' l’interezza di questo “movimento”, come lo definisce Ceraolo, a costituire quella che
Badiou chiama l’«Idea-teatro».
Per Badiou di tutte le arti il teatro è quella che più
«insistentemente si approssima alla politica», tanto per l’esistenza di
un’analogia formale tra queste due pratiche, quanto per l’implicazione dello
Stato nell’essenza del teatro. Tesi, queste, che potrebbero apparire valide sia
per il “teatro” che per il Teatro, ma mentre il primo è semplicemente qualcosa
che appartiene allo Stato, il secondo è invece capace di dire qualcosa sullo
Stato e in ultimo sulla sua situazione.
Ecco una riflessione facilmente riconducibile
alle nostre minuscole realtà teatrali che, dipendendo dallo Stato, quindi dalle
istituzioni, affidano il teatro (in senso di luogo) a un “teatro” in grado di
produrre pubblico in quantità numerica (prerogativa, secondo Badiou, esclusiva
del cinema) allontanandolo quindi dalla stessa sua essenza, cioè dalle verità.
Valeria Bonacci
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