I Blonde
Redhead abitano un mondo narcotizzato. Una città brumosa piena di rumori e di
suoni sommessi. Il concerto di sabato scorso è stato un'esperienza esaltante,
le poltrone del TAU non erano, per questa
volta, una costrizione. I tre hanno attaccato subito con i pezzi di
Barragán: tocchi di sintetizzatore, chitarre che sembravano dei Calexico
narcolettici, e quelle micro esplosioni di elettricità. Kazu Makino, basso e
synth, gorgheggia placida; sono finiti i tempi delle urla e del rumorismo, i
Blonde Redhead attuali sono una band elegante e inquietante. Portatori di una tensione spesso quasi
impercettibile.
No More Honey è una caramella shoegazer, The One I Love stende
tutti, e l'incedere di Lady M e Dripping rapisce tutti definitivamente. Una
rapida incursione nel passato, e nemmeno un accenno a quel Melody of Certain
Damaged Lemons, che nel 2000 li impose al mondo, e poi finirono in tour con i
Red Hot Chili Peppers (che all'epoca riempivano gli stadi meglio del Papa). Una
carriera, quella dei Newyorkesi, sancita dal girovagare fra le label. Ed
infatti, hanno pubblicato dischi per la
Smells Like Records (vicina ai Sonic Youth), con la Touch and Go (Jesus Lizard,
Shellac e molti altri) e per la 4Ad ( per questo ultimo lavoro, hanno scelto di
legarsi alla Kobalt). Praticamente il gotha del rock altro degli ultimi
venticinque anni.
Grandiosi, e, alla fine, dopo una cavalcata noise che ci ha
riportati ai tempi de La Mia Vita Violenta, Kazu è rimasta a salutare, mentre i
fratelli Pace lasciavano il palco dopo i (pochi) bis, un po' stonata.
Intimidita da un pubblico composto e attento ad ogni suo respiro. Non riesco solo a perdonargli la
brevità del set, finora il miglior concerto dell'anno. Non sarà stato un sold
out, a guardare gli aridi numeri, questo no. Ma avete mai sentito parlare di sold out emotivo?
Michele Trotta
(foto di Pasqualino Caparello)
Nessun commento:
Posta un commento