È sold-out il sabato sera del Teatro Auditorium dell’Unical per l’opera di Shakeaspeare rimpastata in
endecasillabi di un siciliano arcaico e diretta da Luigi Lo Cascio. Quando si
parla di Otello si pensa subito al Moro, “u’ niaru, u turcu, l’africanu” ,
nella riscrittura di Lo Cascio Otello è prima un uomo che un soldato, “U’ Generale” dalla pelle chiara,
magistralmente interpretato da un applauditissimo Vincenzo Pirrotta. La scena si apre con un grande fazzoletto,
elemento scatenante della tragedia shakespeariana, che proietta la sua stessa storia, ancestrale e filamentosa,
nata dai vermi dei bachi da seta.
Tutto è già accaduto, Iago- interpretato da un
agghiacciante Luigi Lo Cascio- sconta le sue torture, sulla via del patibolo è
pronto a scompigliare anche l’inferno. Non teme nulla, legato a quella fune,
con la sua vita da sempre assetata di un’umana vendetta, giustificata, in seguito, in un
monologo-autoritratto che sradica le origini della sua misoginia. Il nastro si
riavvolge in una serie di flashback
introdotti da un narratore, un semplice soldato (Giovanni Calcagno), che spalancano la porta della memoria, fatta
di sentimenti e risentimenti, intimi e perversi. Avvolto nel buio un
pubblico voyeuristico assetato di
catarsi, immobile attende il compimento del rituale tragico, lo fa notare più
volte il narratore-soldato che lo chiama in causa con quei rimandi taglienti e
sottili tipici del drammaturgo di Stratford. Tutto è già compiuto eppure il
narratore torna indietro, rewind e play di nuovo, solo per la nostra fremente
voglia di godere, di emozionarci ancora
con quel classico del teatro elisabettiano che Lo Cascio sventra e
sintetizza nei personaggi rendendolo attuale
e intrinseco. Otello incanta Desdemona
con i racconti delle sue epiche battaglie e i suoi dolori soffocati, “accussì
Desdemona càdiu!”, mentre la ferina quanto candida creatura incontaminata- la
Desdemona di Valentina Cenni è l’unica a parlare sempre in italiano- si mostra e prostra col coraggio di un
guerriero al sacrificio, la sola ripulita dai controsensi. Iago “satanassu e
traditure” non è il carnefice, ma il cinico antifemminista tradito da una donna, la madre, la natura
della sua malvagità, del suo odio è resa plausibile dal trauma freudiano. È lui
che infila la fastidiosa e letale pulce nell’orecchio di Otello, ma è Otello a
guardare nello specchio deformante dell’amore tiranno , è “u’ Generale” a voler
sfidare il più impavido dei mostri, la gelosia. Il parassita si materializza
sulla scena con le animazioni curate da Nicola Console e Alice Mangano, così
come il fazzoletto, dilatandolo a significati esoterici, quella natura interna
dell’uomo che in questa tragedia non conosce vie d’uscita se non la morte. E
alla fine avviene, eccola Desdemona, ormai “bottana” agli occhi vani e
disorientati di Otello, con il quale affronta la scalata del suo letto-ara
verso il sacrificio. Il rito è compiuto,
la storia sembra essersi conclusa, eppure l’Otello di Lo Cascio devia il finale
su un onirico pianeta lunare ariostesco. Come Astolfo, Otello, ormai privo di senno, sbarca sulla
luna con l’ippogrifo accompagnato dal soldato-narratore, per recuperare l’ampolla
con le lacrime e i sospiri dell’amante e il fazzoletto, quel pezzo di stoffa, legame
embrionale tessuto da “li vermi sacri”. La luna di Lo Cascio è metafora di
donna, candida e celeste, quanto misteriosa e imperfetta, creatura
contemplativa da dove è possibile posare lo sguardo libero sul firmamento.
Valeria Bonacci
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