sabato 30 gennaio 2010
L'America raccontata da Oscar Bartoli
Nella grande sala di una importante Università americana si può leggere un avviso che ammonisce gli studenti sul non copiare durante gli esami, sul non imbrogliare. Avviso che è stato affisso dopo uno studente straniero era stato beccato durante un esame con dei foglietti mentre cercava di copiare. Di quale nazionalità era questo studente? Italiano, naturalmente.
È tutto un altro mondo al di là dell’atlantico, e in “E anche questa è America” Oscar Bartoli ce ne rende uno spaccato che possa interessare gli studenti, coloro che cercano opportunità, ma che vedono i loro progetti sbattere, qui in Italia, contro una eccessiva serie di ostacoli. Il libro non è però un’apologia degli U.S.A., anzi, la presentazione dell’America sotto i suoi vari aspetti è una delle qualità del lavoro di Bartoli, presentato all’Unical dall’autore insieme a Lilia Infelise, di Artes, e Giacinto Marra, della Fondazione Rubettino. Bortoli è un giornalista e avvocato, che da anni risiede a Washington. Nel suo libro presenta prima due storie di giovani, storie di un successo raggiunto grazie all’esperienza negli U.S.A. Su questa scia seguono interviste fatte da Bartoli a vari personaggi che presentano la loro storia, tra paese d’origine e America, offrendo anche diverse visioni della società in cui si trovano a vivere. Infine l’autore presenta altre testimonianze attraverso materiale riguardante la sua attività di giornalista radiofonico.
L’America non è il migliore dei mondi possibili, però resta ancora il paese delle opportunità. È come una pentola in continua ebollizione, mentre l’Italia continua a mostrare i segni di una stagnazione che non dà segni di voler cessare. Quali sono le cause di questa Stagnazione? Le solite ovviamente, e in particolare un atteggiamento di furbizia, che diventa il principale mezzo da usare da chi voglia vedere soddisfatte le proprie ambizioni. Atteggiamento aiutato dall’acquiescenza degli altri. Negli U.S.A. invece la sola regola è quella della competizione. Da un lato potrebbe sembrare un mondo duro, in realtà premia chi ha voglia di emergere e le idee per farlo. Ne sono esempi i sistemi di “venture capital”, con cui dei privati finanziano giovani che hanno idee vincenti e che hanno bisogno di capitale per svilupparle. Le storie presentate sono esperienze di giovani e non, che evidenziano come nella società americana non c’è la percezione che bisogna appartenere a qualcosa o a qualcuno per riuscire, ma serve sacrificio e lavoro. Ai giovani protagonisti mancano certo la famiglia, gli amici, i luoghi d’origine, ma non di certo la realtà italiana. Realtà che avrebbe reso loro molto difficile realizzare ciò che hanno fatto in America. E non perché l’America sia superiore, visto che è comunque un paese difficile, ma perché è molto, molto diversa dal nostro paese. La meritocrazia è concreta, non un’espressione da campagna elettorale.
Interessante quanto detto dalla economista Lilia Infelise riguardo ai giovani laureati della nostra terra, che ha avuto modo di incontrare durante la sua attività. Sono preparati, ed hanno molte potenzialità, ma gioca a loro grande sfavore la scarsa conoscenza delle lingue, che nella società attuale è sempre più centrale, e la mancanza di esperienze all’estero.
A guardarla dalla Calabria poi, questa distanza tra Italia e America sembra ancora più netta. Non è un segreto infatti che quelli che sono considerati i mali della nazione, ai quali nel libro si accenna, nella nostra regione sembrano ancora più radicati. Cosa fare allora? Trasferirci in America? La domanda è ovviamente provocatoria. Bartoli però lo ha fatto, e se gli si chiedono le ragioni per le quali ha scelto di restarci risponde: “Sto bene in America, perché lì ci si sente cittadini di serie A”. Cosa che in Italia non è sempre possibile.
Lorenzo Coscarella
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