mercoledì 13 gennaio 2010
Fra i migranti feriti nella "battaglia" di Rosarno
Nella giornata di domenica 10 gennaio una delegazione della Rete antirazzista cosentina ha portato solidarietà ai quattro migranti di Rosarno ricoverati presso l’ospedale di Polistena. Quattro ragazzi, tutti molto giovani, tutti in possesso di regolare permesso di soggiorno, venuti nella Piana di Gioia Tauro come centinaia di fratelli, per lavorare. Sono ancora molto deboli e soprattutto spaventati per quanto accaduto nei giorni scorsi, ma accettano di raccontare la loro storia.
Fra di loro c’è Ayiva Saibou, del Togo, il primo ferito del pomeriggio di giovedì 7 gennaio, quando tutto ha avuto inizio. Ayiva è stato ferito a un fianco da un piombino sparato da un'arma ad aria compressa, da due ragazzi bianchi, giovanissimi, a bordo di una vettura sulla statale 18. Senza motivo, dice. Nei suoi occhi una profonda tristezza. Se gli chiedi un parere dice solo “il passato è passato”, quasi volesse cancellare l’aggressione ma soprattutto il delirio che ne è seguito.
Nel letto a fianco c’è un suo amico, a Rosarno solo di passaggio, ferito anche lui nel tentativo di difenderlo. E’ sedato, dorme profondamente nonostante la stanza sia piena di corpi e di voci. Sono entrambi ricoverati nel reparto di chirurgia.
Ben è invece ricoverato nel reparto di otorinolaringoiatria. E’ assai dolorante, ha il volto sfigurato dalle sprangate e nel linciaggio ha perso due denti. E’ originario della Guinea ed ha raggiunto il fratello a Rosarno solo da otto mesi, per lavorare in una fabbrica che produce cassette di plastica. Insieme ad altri connazionali viveva in una casa nel centro di Rosarno, a due passi dalla piazzetta. Venerdì, giornata comunque di lavoro nonostante le proteste della comunità africana, Ben è stato aggredito da una ronda di rosarnesi, in paese, mentre rientrava a casa. E’ stato portato in ospedale e da allora non vede il fratello, che è rimasto tappato in casa, come gli altri africani alloggiati in paese, o nascosti nelle campagne, in attesa che le acque si calmino del tutto.
In ortopedia c’è l’ultimo ricoverato che non incontriamo, perché divide la stanza con un anziano che urla e si dimena, le infermiere premono per un po’ di tranquillità ed è già in corso una visita di un gruppo della Comunità di Sant’Egidio.
I migranti sono tutti richiedenti asilo che nell’attesa vivono con permessi di tre o sei mesi. Non appena saranno dimessi lasceranno la Calabria, vogliono andare verso il nord Italia, in cerca di una migliore sorte. Accettano i doni degli antirazzisti, dolci, bevande e vestiti, ma quando traduci loro in francese o in inglese la frase “Un’altra Calabria vi abbraccia” scritta sul manifesto, sembrano non riuscire, neanche sforzandosi, a crederci.
Daniela Ielasi
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