venerdì 14 marzo 2008
Tre film "trasparenti" per guardare attraverso il cinema
Foto da “Essi vivono” (Stati Uniti 1988), regia di John Carpenter
Nei giorni 11 e 12 marzo la sala stampa dell’aula magna ha ospitato il seminario, organizzato dalla rivista Fata Morgana, sul cinema e il suo concetto di trasparenza. Moderato da Roberto De Gaetano, presidente del corso di laurea in Dams, il seminario ha proposto la visione di tre film e il successivo dibattito.
Raul Ruiz e il suo “Ipotesi su un quadro rubato” (Francia 1978) aprono la due giorni di Fata Morgana; nel film un collezionista possiede una raccolta molto vasta di quadri dipinti da Frédéric Tonnerre, pittore del XIX secolo inventato dal regista. Alla collezione manca soltanto un quadro e attorno al dipinto rubato si dipanano le più svariate e ardite teorie. Si tratta di ritrovare la tela scomparsa, svelando così il filo rosso che lega i dipinti e il mistero di questa collezione, così splendida ma capace, a suo tempo, di provocare un terribile scandalo. Tutto basato sull’opposizione tra narratore interno (protagonista del film) e narratore esterno (voce fuori campo) il film è un susseguirsi di immagini surreali e rivelazioni stucchevoli. Il successivo dibattito ha messo in evidenza il contributo dello sceneggiatore Pierre Klossowski e della sua commedia “Il Bafometto” ponendo l’accento sul culto, ben rappresentato nei tableaux vivents del film, dell’androgino che ricorda chiaramente i misteri dei templari ma anche il mito platonico citato nel simposio. Un’opera che, come ha affermato Daniela Angiolucci “mostra non allude”, trasparente appunto.
La visione filmica del pomeriggio "Sans Soleil" (Francia 1982) appare come un documentario, in realtà sono messaggi video di un viaggiatore, ora alle prese con il Giappone in cui ha deciso di vivere per un lungo periodo, ora con l’Africa e l’Islanda. Collocato a metà tra le riflessioni di Barthes in "L'impero dei segni" e "Tokyo Ga" di Wenders, il film di Marker è l'immersione in un mondo che ci spiazza, ci nega il riferimento all'abitudine, al noto, coltiva il nulla e per paradosso ci restituisce un senso per negazione. Come afferma Carmelo Marabello nel dibattito successivo, Marker lavora molto sulle immagini, sul montaggio, sul rapporto tra realtà percepita e realtà riflessa. Il suo è uno dei pochi tipi di cinema che mentre lo guardiamo ci chiede di considerare che cosa guardiamo e perché lo facciamo.
“Essi vivono” (Stati Uniti 1988) di John Carpenter chiude il seminario: il soggetto non nuovo, che ai più sarà noto per l’albo “vivono tra noi” del Dylan Dog Bonelliano, tratta della raccapricciante scoperta, grazie a dei miracolosi occhiali, di un operaio (Roddy Piper) che si rende conto di vivere in un mondo governato da alieni che, bombardando la popolazione di messaggi subliminali, controllano le menti e le coscienze delle persone; dietro la facciata naif si nasconde un chiaro messaggio di denuncia che è emerso nella successiva discussione, più accesa e vivace delle precedenti, forse per merito di Carpenter, forse per merito di Marcello Walter Bruno, ordinario di semiotica degli audiovisivi all’università della Calabria, che ha evidenziato un’aspra critica del film all’America del capitalismo sfrenato di Regan (illuminante a tal proposito il messaggio del denaro che gli occhiali mostrano al protagonista: “io sono il tuo dio”) al consumismo e alla televisione. L’analisi di Bruno ha posto dapprima l’accento sul carattere postmoderno e citazionista del film per poi spostare l’attenzione sul carattere sociale dell’opera, delineando un insolito ma indovinato parallelo con le teorie marxiste.
Il filo conduttore del seminario, la trasparenza, è forse più didascalico nell’opera di Carpenter per questo è più afferrabile dallo spettatore, mentre per il film di Ruiz e di Marker la comprensione risulta più tortuosa; come ha dimostrato l’applauso alla fine di “Essi vivono”, il più fragoroso delle due giornate, non è necessario e forse nemmeno utile risultare ostici allo spettatore per istruirlo e indurlo alla riflessione.
Carmine Mura
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