Mercoledì quattordici dicembre il Teatro Auditorium Unical era impregnato d’attesa per Emma Dante e Le sorelle Macaluso. Dal buio, danzante,
gettata verso il proscenio, una donna avanza verso di noi. Sarà raggiuta poco
dopo dalle sorelle. Una battaglia di pupi siciliani. Sul proscenio, come un
resto abbandonato, unico elemento scenografico, gli scudi e le spade della
tradizione. Gli abiti neri delle Macaluso ci fanno sentire quell’immortale
senso di nostalgia luttuosa, tonalità emotiva ricorrente in molte storie
popolari del sud. Poi si spogliano e sotto il nero gli abiti colorati rivelano
le differenze. Come uno stormo indisciplinato le sorelle ridono, ricordano,
battibeccano, qualcuna era la preferita “du papà” perché gli cantava le canzoni.
Una gita al mare era la felicità. La povertà economica non sporcò mai la gioia
delle bambine Macaluso, liete come uccelli leopardiani; la pasta al forno, con
una sola melanzana tagliata a fettine sottili, diviene il simbolo di un’infanzia
priva di peccato originale.
Uno snodo drammaturgico importante è quando Katia (Leonarda Saffi),
dal cuore pugliese e pieno di ombre, viene accusata dalle altre sorelle di
essere responsabile della morte di Antonella (Elena Borgogni). La lite con il
padre (Sandro Maria Campagna), giovane quanto le figlie, segnerà un passaggio
fondamentale: darà al personaggio la possibilità di svestirsi del suo ruolo
genitoriale, e di mostrarsi nella sua fragilità di uomo umile, vessato dal
destino e incapace di andare avanti senza sua moglie (Stephanie Taillandier).
La madre è l’unica ad usare l’italiano ufficiale, con una lieve inflessione
francese. A lei spetta il ruolo di unire le figlie che parlano diversi
dialetti. Moglie e madre, punto di capitone attorno al quale la famiglia si
stringe e le diversità si assottigliano. Dopo aver ricordato alle figlie come
ci si deve comportare, si stringe in una danza amplesso col marito eternamente
picciotto.
In evidenza l’ambizione di Gina (Italia Carroccio) e il suo desiderio
frustrato. La carriera calcistica di suo figlio (Davide Celona) nato con una
malformazione al cuore. Il ragazzo ha i piedi buoni e sogna Maradona, ma non
resisterà ai duri allenamenti. Finirà
sullo sfondo con gli altri morti di famiglia. Cetty interpretata da Marcella
Colaianni più silenziosamente osserverà questo spaccato famigliare, insieme a
Pinuccia (Daniela Macaluso) sempre attenta alla sorella più fragile, Lia
(Serena Barone). Infine Maria, di quarantadue anni, che da sempre si sveglia
alle sei del mattino per preparare il caffè per tutte, e poi recarsi in
ospedale, dove lavora come donna delle pulizie. Ogni tanto, quando ha un po’ di
tempo, Maria si ferma a guardare le ballerine che studiano nell’istituto di
danza di fronte casa. Avrebbe voluto danzare. Ora incitata dalle sorelle
finalmente può farlo, ma al prezzo di sparire anch’essa nello sfondo nero, dal
quale tutto era iniziato.
Si chiude così, dopo appena
un’ora, questo piccolo gioiello spettacolare. Un susseguirsi di momenti
emozionali sorretti dal virtuosismo tecnico dei performer. La scrittura di
scena di Emma Dante è delicata e leggera come i corpi dei suoi performer nello
spazio vuoto. Con i soli corpi degli attori e i pochi oggetti di scena, la
regista siciliana riesce a far scorrere davanti ai nostri occhi una lunga serie
di immagini. Quello che vediamo in scena è pura memoria, non racconto, ma
traccia istantanea in cui morti e vivi coesistono, bassezze umane e bellezza
danzano, dipingendo quel quadro straziante di memoria famigliare che è Le
Sorelle Macaluso.
Gianbattista Picerno
(foto Pietro Scarcello)
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