Portuali e Operai, chi meglio di loro può spiegare agli studenti le difficoltà di chi lavora al Sud, in grandi strutture produttive?. E’ successo lunedì all’Università della Calabria, nel primo incontro seminariale sul Lavoro al Sud, a cui si darà seguito da settembre in poi per discutere delle condizioni di lavoro cognitivo, dalle università alle redazioni giornalistiche.
In cattedra con Elisabetta Della Corte, Paolo Caputo ed Antonino Campennì, i portuali di Gioia Tauro e gli operai della Fiat di Melfi hanno intrecciato le loro testimonianze, raccontando a giovani studenti, le difficili condizioni di lavoro, i rischi, le incapacità del sindacato e quelle dell’azienda. Operai pagati meno dei loro colleghi del Nord, grazie alle agevolazioni dei patti d’area; sottoposti ad un regime manageriale propenso ad usare molto il bastone e poco la carota.
Nelle parole di Pietro, ex operaio Fiat, la storia di oltre dieci anni passati a montare auto, tra ingiustizie e disciplina ferrea, di notte e di giorno, senza avere più il tempo per una vita al di fuori della fabbrica. Si parla dei rischi, dei morti sul lavoro e lì il ricordo va agli ultimi incidenti mortali della Tissen e a quelli di Melfi, passati quasi sotto traccia. Ci sono poi le morti lente, spalmate in anni di turni insostenibili, malattie da sforzo e poi la cupa depressione di giovani che si giocano la vita sulla linea di montaggio; esausti per i turni massacranti, ma soprattutto insoddisfatti perché d’attraente quel lavoro non ha niente.
Salvatore Morabito del Coordinamento Portuali di Gioia Tauro, parla della vita di chi è entrato al porto, delle lotte per migliorare le condizioni di lavoro, in una terra difficile, dove per fame di posti di lavoro i diritti saltano.
In entrambi i casi, i dati ci dicono che i due siti sono molto produttivi, i profitti di Fiat e Medcenter sono alti, gli operai lavoro a ritmi da record, ma non appena si vuole far valere i propri diritti, dopo anni di sfruttamento intensivo, si levano le voci di manager, politici, amministratori, vescovi a ricordare che il Sud è terra di disoccupazione e bisogna accettare di tutto, anche, forse, di mettere a rischio la propria vita. Il lavoro sul fronte dei porti è sempre stato pericoloso, e continua ad esserlo in questa fase, visti i pachidermici mezzi impiegati per movimentare container, basta un errore di distrazione e si finisce schiacciati. L’attenzione dei guidatori di gru e mezzi di banchina è fondamentale, ma questo fa a pugni con le richieste di velocizzare i tempi e migliorare la resa dei 25 container ora, che possono diventare di più quando ci sono navi che aspettano fuori dal porto. E’ così che la pressione dei tempi mette il fuoco ai guidatori, e si spinge sull’acceleratore, per migliorare la resa. Il porto non chiude mai come in Fiat, si lavora 24 ore su 24, e di notte in particolare, il lavoro diventa faticosissimo, per l’alterazione dei ritmi circadiani, lo sfasamento dell’orologio biologico che regola il nostro corpo. Per Gioia Tauro parliamo di sei ore continuate alla guida di mezzi pesanti, per agganciare e sganciare contenitori, mentre in altri porti (vedi Southampton in Inghilterra), data la fatica e pericolo, si alternano due ore di guida con lavori di banchina più leggeri.
In aula scende il silenzio quando dal porto arriva un’altra storia drammatica, quella di un incidente mortale che ha coinvolto un uomo dell’equipaggio di una nave porta container. Una grossa fune si è staccata, la testa è volata sulla banchina. Mezz’ora dopo il porto riprendeva a funzionare, container più, container meno.
Il Sud è anche questo, le imprese hanno beneficiato non solo di fondi pubblici ma anche di condizioni di lavoro da discount e di tassi di sfruttamento alti. Il tutto supportato dalla retorica dell’imprenditore-benefattore, che rischia in un luogo in cui incidono le organizzazioni criminali, e da un certo meridionalismo plebeo che la classe politica stenta ad abbandonare. Retorica utile per far credere a chi lavora che è un privilegiato non uno sfruttato. C’è infine da rilevare una strana coincidenza: quando il gioco sta per incrinarsi a favore dei lavoratori, arrivano inchieste e perquisizioni, con accuse di terrorismo o infiltrazioni mafiose. E’ successo a Melfi come a Gioia Tauro. Poi torna il silenzio, in molti casi, dopo il baccano, si viene reintegrati e si riprende a lavorare per poco più di 1300 euro. Buon lavoro, se vi pare!
Elisabetta Della Corte (ricercatrice Unical) *
*Autrice del libro "Il lavoro sul fronte dei porti. Telematica e organizzazione del lavoro a Gioia Tauro, Southampton e Felixtowe" - Rubettino 2002
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