giovedì 19 giugno 2008
Il '68 quarant'anni dopo raccontato da Piperno e Bertinotti
Il `68, quarant’anni dopo. Rivisto e rivissuto da chi in quegli anni era protagonista attivo, di chi solcava percorsi ed esperienze di quella stagione, cui spesso si guarda con malcelata nostalgia. Un anno di ineguagliabile elevamento collettivo, culturale, politico, sociale, ma una fase che non può considerarsi definitivamente chiusa. “`68, L’anno che ritorna” è il suggestivo titolo del libro di Franco Piperno, docente UniCal, edito da Rizzoli, presentato in un luogo, l’aula Circolare del polifunzionale, storicamente sede di assemblee, discussioni, confronti.
Ne discutono insieme all’autore i giornalisti Daniela Ielasi, direttrice del settimanale universitario Fatti al Cubo, Paride Leporace, direttore del Quotidiano della Basilicata e Fausto Bertinotti, uno dei leader politici certamente più apprezzati della sinistra italiana.
Introduce e modera Ielasi che definisce il libro “sfacciatamente ottimista”, perché è possibile rintracciare elementi di continuità, in questi 40 anni trascorsi, e luoghi in cui, per dirla con le parole di Piperno, dimora ancora, tra le rovine, il potenziale sovversivo degli studenti. L’università, che Ielasi cerca quotidianamente di comprendere ed investigare attraverso il settimanale che dirige, è senza’altro uno di questi luoghi, fra quelli più martoriati da una serie di riforme ottuse che hanno condotto all’aziendalizzazione degli atenei, alla mercificazione del sapere e quindi delle menti.
Fortunatamente l’esistenza di questi luoghi è testimoniata qui all’UniCal anche dall’esperienza di un giornale autoprodotto e di un centro sociale autogestito.
Malinconicamente appassionato ed appassionante l’intervento di Bertinotti, che non fa alcun accenno all’oggi politico dell’Italia. Rivisita il `68, ed il `69, che lui vede indissolubili, e ricorda l’aspra incomunicabilità, fisica, oltre che politica, di quegli anni, anni in cui l’Italia, Paese di 100 città, sperimenta una molteplicità di percorsi, in una dinamica che dal mondiale rimanda al territoriale, al locale, e viceversa.
Tagliente e puntuale come sempre l’intervento di Piperno, che, forse senza pretese, ha la capacità di raccontare suggestionando, evocando immagini che, per chi in quegli anni non era nemmeno concepito e concepibile, potrebbero ben far da sfondo ad una delle più espressive sceneggiature su quegli anni.
Piperno non manca di ricordare al compagno Bertinotti, rappresentante dell’altra anima di quella stagione, che molti appartenenti al movimento operaio di allora peccavano per così dire di un insanabile, strutturale, difetto, quello cioè di “non venire dal basso”, salvo rare eccezioni, e questo elemento da sempre, nel movimento operaio italiano, provocava una sorta di corto-circuito. Spesso i sindacati, almeno CGIL e CISL (i soli presi in considerazione da Piperno) sono stati prolungamenti di organizzazioni di partito, configuratisi come luoghi di spartizione di potere. In Italia il corto circuito è dovuto al fatto che la tradizione sindacale è legata ai partiti, che sono sempre troppi, lo erano anche negli anni passati: la classe operai finisce pertanto con l’essere sotto-rappresentata proprio da un’eccedenza di rappresentanza dei partiti. Molti dirigenti, seppur illuminati come Fausto Gullo, Giacomo Mancini, Bruno Trentin, venivano “dall’alto”, trattandosi spesso di intellettuali borghesi passati con gli operai.
Spiega poi perché il titolo del libro porta solo il `68 e non anche il `69, come Bertinotti invece avrebbe preferito: il movimento operaio del `69 non sarebbe certamente esistito senza il `68, senza l’irruzione degli studenti, che ha profondamente modificato alcune forme di lotta e alcuni strumenti concettuali che avevano allora i giovani operai.
Nel `68 si è prodotta una situazione nuova rispetto il movimento operaio, le fabbriche erano state assediate e presi di mira non tanto i padroni, quanto gli spietati capi-reparto, che via via però si ritirarono dalle fabbriche, in una fase in cui l’assenteismo dal lavoro arrivò a toccare punte del 20%; la crisi del petrolio produsse tuttavia la sconfitta del movimento operaio, poiché in pochissimo tempo ci fu un rientro dell’assenteismo che ritornò al 5%, valore giudicato fisiologico.
Nel `68 – ricorda ancora Piperno – abbiamo vinto sull’unico terreno su cui era possibile vincere: su noi stessi, poiché il `68 è un richiamo alla “presenza”, al presente. Difatti il `68 ha contribuito a “mandare in rovina il mito del tempo, imperante nella società italiana del dopoguerra”, potendosi configurare come “insurrezione contro l’ordine del tempo”, che ha fortemente rivendicato l’idea del “qui ed ora”, rifiutato l’idea “dell’attesa”, di una sorta di laica salvezza collocata in un lontanamente individuabile futuro.
Si congeda con una formula Piperno che fa ben sperare: “Sono sicuro che la felicità esista”.
Paola Staffa 19/06/2008
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