mercoledì 21 aprile 2010
Brunori canta e calcia un super santos
Dario, uno di noi. Cantante-imprenditore, che riesce a far convivere le due anime e che ha un solo desiderio: «Non voglio scrivere pensando ad un pubblico. Questo primo disco funziona perché è onesto. Non vorrei cantare per mestiere o per professione». Ma, Brunoni, dell’omonima S.A.S, nome dell’impresa di famiglia prestato alla sua band, vincitore dell’ultimo Premio Ciampi per il miglior debutto discografico, non è uno sprovveduto e sa che la logica del mercato può prendere il sopravvento sull’arte. Il panorama della musica indipendente, però, è l’unico ambiente che può consentirgli di esprimersi a modo suo. Di essere un libero professionista della canzone. L’ho incontrato a Marina di Gioiosa Jonica, prima del concerto al Blue Dahalia, la sera di Pasqua. Per lui un gelato a limone, per me un amaro e così è incominciata la nostra chiacchierata.
D. Nei tuoi brani racconti la vita quotidiana a partire dalle cose che non fanno notizia: il super santos, il mutuo, padre Pio, la tipa di Torino. Ritengo che questo sia l’aspetto decisivo del tuo stile: riorganizzare l’esperienza mantenendoti sul livello della vita non speciale.
R. Ciò che davvero conta è che non scrivo in maniera premeditata. Il disco Vol. 1 non ha un ragionamento alle spalle. Le canzoni sono nate da ispirazioni dettate da un momento, da un attimo fugace, che devi essere abile a fare tuo. Non ho affatto il desiderio di elogiare la normalità, bensì mi piace l’idea che le cose che riteniamo ordinarie hanno un significato che va oltre l’oggetto. Alcune cose della vita di tutti i giorni fanno parte di un patrimonio comune, che non va dimenticato, perché nascondono un senso profondo per la persona.
D. Un altro motivo ricorrente è il ricordo.
R. Sono stato assalito dai ricordi del passato. Alla fine, sono venuti fuori dei racconti che né mitizzano ciò che è stato, né lo criticano. Voglio essere più cronista che giudice. Un narratore e non uno che spara sentenze. Credo che l’obbiettivo della musica sia approfondire i fatti che accadono, prendendo posizione quando serve, ma senza giudicarli dall’alto. Io racconto la mia storia e tu pensi alla tua: è questo l’effetto che voglio ottenere.
D. Autobiografia e non solo.
R. Non direi che questa prima uscita sia un’opera autobiografica. Piuttosto, si tratta di un disco sincero. Ci sono dentro storie che ho vissuto direttamente o anche solo emotivamente. Italian dandy, per esempio, è un gioco ironico, in cui mi metto nei panni di un altro, sforzandomi di capire come ci si sente a vivere da bohemien. È evidente che io non sono un dandy: ti immagini a citare Verlaine per le strade di Guardia? Sarei fuori luogo. Potrei rischiare di essere picchiato.
D. Va bene il passato, ma che cosa pensa Brunori della contemporaneità?
R. Non ho una visione collegata ad un pensiero preciso. Non amo avere dei concetti già confezionati. Mi piace confrontarmi in maniera libera con gli avvenimenti e perciò tengo le idee sempre in movimento. Riguardo alla musica, oggi, credo che si è perso il rapporto autentico e meno omologato che le persone avevano con le canzoni, prima di internet. Quando comperavi un disco lo ascoltavi 100 volte, per assaporarlo fino all’osso. Adesso scarichi 8.300 mp3 e ascolti un disco una volta e poi mai più.
D. Se un amante della fotografia? Molti pezzi sembrano delle istantanee: delle immagini colte al volo, che restituiscono la realtà così com’è.
R. Mi piace più la foto del video, ma non sono uno specialista del settore, né un tecnico, né un critico. L’immagine fissa mi fa pensare di più rispetto ad un’immagine in movimento. Mi piacciono le vecchie foto, quelle in bianco e nero. Se ne guardo una, immagino che cosa stava accadendo quando è stata fatta. Immagino chi fossero quelle donne e quegli uomini ritratti, mi lascio suggestionare dai loro volti e da ciò che li circonda.
D. In alcune canzoni si sente l’eco di Rino Gaetano. Anche lui è stato un cantastorie ironico, malinconico, campione di calembour. La differenza è che, a volte, Rino andava giù pesante, senza risparmiare critiche.
R. D’accordo, però vorrei aggiungere un altro elemento. Quando Rino Gaetano sfotte, nello stesso tempo prova compassione verso le persone, non le guarda mai dall’alto. Non esalta il suo ego a danno di un’altro. E poi, soprattutto, egli attacca i modi di fare e il costume, ma non si tira in dietro, anzi si mette in gioco, come è successo quando ha partecipato al festival di Sanremo. Mi piace che sia la canzone a rimanere e Rino Gaetano ci è riuscito. È uno che ti può capire. Uno che ti dice qualcosa di te.
D. Dallo scorso giugno, quando è uscito il disco, hai continuato a scrivere?
R. Avverto l’esigenza di avere un momento di pausa dalla scrittura. Per scrivere devo essere distaccato. Adesso, invece, non posso perché sto vivendo un’esperienza nuova, che mi coinvolge totalmente.
D. Un successo rapido, forse inaspettato, ma meritato.
R. Per certi versi anche scioccante: è una botta, sentire che a Milano o a Varese i ragazzi cantano Guardia ’82.
Angelo Nizza
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Grande Dario!
RispondiEliminaFinalmente qualcosa di cui essere orgogliosi!
Elena