Il teatro degli Orrori,
gruppo alternative rock che da circa dieci anni calca le scene del panorama
musicale italiano, è sbarcato al Tau lo scorso mercoledì per un concerto che
presenta il loro ultimo disco, un evento 'fuori stagione' organizzato da
Be-alternative. Abbiamo incontrato nel foyer del teatro, poco prima del
soundcheck, Pierpaolo Capovilla, voce e leader del gruppo veneto.
Per il vostro ultimo album
avete deciso di non dare un “vero titolo” al lavoro ma semplicemente di
definirlo “Il Teatro degli Orrori”, come mai questa scelta?
Avevamo
a disposizione molti titoli in realtà, alcuni buffi e bizzarri, ma non
riuscivamo a deciderci; poi pensammo, visto i momenti che corrono, che “Il
Teatro degli Orrori”, ovvero il nome della band, bastasse. Ci sentiamo un po’ al
nostro “debutto” perché questo terzo album, non più scritto in quattro ma in
sei, è per noi un “nuovo esordio”, un lavoro corale e, come tale, ci siamo
sentiti in dovere di chiamarlo con il nome della band, semplicemente per essere
coerenti con il lavoro che avevamo fatto.
Ciò che maggiormente
traspare da questo lavoro è un’immagine fortemente politica di un paese ormai
sfasciato; alcuni brani dell’album, penso a “Il lungo sonno (lettera aperta al
Partito Democratico)”, sono un vero e proprio attacco alla situazione politica
italiana. Secondo voi c’è un barlume di luce o siamo destinati a naufragare in
questo profondo abisso che stiamo vivendo?
Ho
cercato di raccontare, canzone per canzone, del paese in cui vivo e del come io
vivo in questo consorzio umano, cosa vedo intorno a me, quali sono le mie
esperienze, i miei entusiasmi, le mie aspettative. In questo senso qui ho
cercato, semplicemente, di scrivere delle belle canzoni in cui dietro il
significante ci fossero dei significati, usando un linguaggio molto più urbano
questa volta e meno letterario. Tutti i nostri cd sono politici per il semplice
fatto che si è sempre cercato di fare una musica capace di scuotere chi l’ascolta,
in contro-tendenza alle tante “canzonette” vuote che ci sono in giro
ultimamente. In questo album ci sono due canzoni, diciamo, più “scherzose”. Una
è, appunto, “Il Lungo Sonno” e l’altra “Sentimenti Inconfessabili” che sono due
canzoni più ironiche e sarcastiche, dotate di uno sguardo più cinico che non
potevo non dare, essendo un vecchio militante di sinistra, nei confronti della
classe dirigenziale di un partito che mi apparteneva, quello di Berlinguer.
Credo che l’artista debba sbilanciarsi in questo senso, far sentire la propria
voce, avere un confronto, soprattutto per i giovani.
Qual è la strada che
consigliate, alle nuove generazioni, per non soccombere alla crisi dei valori e
all’atrofizzazione del pensiero che attraversa i giovani che abitano questa modernità?
Gramsci
diceva: “Istruitevi e studiate. Abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza”.
I giovani oggi sono naufragati, non per colpa loro ma per le circostanze
storiche in cui si trovano, vengono manipolati da una cultura individualista
sempre più egemone; ma, appunto, perché rappresentano il futuro ci si dovrebbe
preoccupare un tantino in più dei giovani. Non mi sento di poter dare un
consiglio tranne quello di “acculturarsi”, sempre. La cultura permette di emanciparsi
giorno dopo giorno dalle circostanze storiche in cui si vive, ed anche dai
limiti in cui è costretta la propria esistenza; limiti che non sono solo
economici, ma culturali e politici. Se si riescono ad inquadrare questi limiti
si può vivere con serenità questa modernità. Ma questo è possibile solo con la “cultura”.
L’anno scorso ha portato
in giro, per molti teatri italiani, uno spettacolo su Pasolini. Come mai ha
sentito il dovere di riportare in vita, oggi, Pasolini? E sente che quest’esperienza
sia entrata, in qualche modo, all’interno dell’ultimo lavoro della band?
In
realtà il lavoro su Pasolini è nato per caso. Non conoscevo il Pasolini poeta
fino a quando non mi è stato chiesto di recitarlo. Accettai la sfida, inizia a
studiarlo e me ne innamorai. Direi che, molta rabbia ed astio che c’è negli
ultimi testi de “Il Teatro degli Orrori” siano ispirati direttamente dal testo
pasoliniano e che quindi, quel reading, quello studio che feci, è entrato in
maniera preponderante e per niente superficiale nell’ultimo cd della band.
A più di dieci anni dalla
vostra nascita vi sentite di poter dire di avere degli eredi nello scenario
della musica italiana? Chi è il nuovo “Teatro degli Orrori”?
Mi
cogli di sorpresa! Non c’ho mai pensato in realtà. So che ci sono dei gruppi
che ascoltano molto volentieri “Il Teatro degli Orrori”, che vengono anche ai
concerti. Noi abbiamo un po’ rimischiato le carte della cultura musicale
italiana, siamo riusciti a risvegliare qualche coscienza, ma non mi sembra di
avere dei propri e veri “discepoli artistici”.
Davide
Ioele
(foto di Pasqualino Caparello)
(foto di Pasqualino Caparello)
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