martedì 27 maggio 2008
Nel segno di Peppino Impastato
La facoltà di Scienze Politiche, la settimana scorsa, ha organizzato un ciclo di tre lezioni sulla mafia (“Mafia ed Antimafia. Dagli stereotipi alla ricerca scientifica”). A tenere le lezioni due studiosi e testimoni attivi della lotta alla mafia: Umberto Santino ed Anna Puglisi del centro di documentazione di Palermo “Peppino Impastato”. Il centro è stato intitolato al militante della Nuova Sinistra, assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. Un coraggioso ragazzo del profondo sud, di famiglia mafiosa, che si ribellò alle logiche asfissianti di Cosa Nostra.
Ciascuna lezione si è sviluppa attorno ad un tema. Nella prima si è parlato di Mafia in generale, le sue origini, la sua espansione. Umberto Santino, uno che mastica Antimafia da oltre un trentennio riesce ad essere chiaro e forbito, smentendo tutti gli stereotipi che il sistema massmediatico ci ha fatto passare in questi anni.
La seconda giornata è stata dedicata al ruolo delle donne all’interno della criminalità organizzata, con interessanti spunti di Anna Puglisi, che si è impegnata in prima persona ad accogliere le donne che si svincolavano dalla famiglia mafiosa, svelando l’incredibile peso, contrariamente a quello che si pensa, del ruolo delle donne all’interno di un’organizzazione di tipo gerarchico e monosesso come è quella mafiosa.
Nella terza e conclusiva giornata si è discusso di Antimafia, dalle origini (il movimento contadino) fino alle attuali forme di contrasto passando ovviamente per il periodo 92-93, quello dell’era Falcone- Borsellino e della legislazione d’emergenza. Alla fine di ogni lezione ampio spazio è stato lasciato alle domande dei presenti, che spesso si trasformavano, su spinta dei due oratori, in veri e propri dibattiti sulle locali situazioni mafiose e sulle testimonianze di alcuni studenti che vivono realtà oppressive nei rispettivi paesini dispersi per la Calabria.
Alla fine ne scaturisce una proposta, da parte di Umberto Santino, di attivare un centro di documentazione sulla mafia all’interno dell’università, al fine di osservare e contrastare il fenomeno della ndrangheta che attanaglia la Calabria al pari di Cosa Nostra in Sicilia.
In sostanza una tre giorni interessante ed appassionante. Da segnalare la scarsa pubblicità di quest’evento, relegato in una sperduta aula del polifunzionale. Mi vengono in mente noiosi ed insulsi seminari in aula Caldora o in Consolidata 1, promossi a dovere. Evidentemente il tema non interessa ai nostri docenti o presidi di facoltà. Tutto in linea ovviamente, con il clima nazionale, dove, da almeno un quindicennio, la lotta alla mafia sembra essere sparita completamente dall’agenda politica del paese.
Biagio Rizzo
lunedì 5 maggio 2008
Protesta a Scienze Politiche, tutti assolti
E' stato un processo lampo quello di stamattina presso il Tribunale di Cosenza a carico di Andrea De Bonis, Daniela Ielasi e Fabrizio Grandinetti, accusati del reato di “occupazione e interruzione di pubblico servizio” e difesi dagli avvocati Luigi Bonofiglio e Adriano D'Amico. Il giudice monocratico Branda, come già la stessa pubblica accusa, ha subito capito che il reato ipotizzato non si reggeva impiedi, e infatti l'assoluzione per non aver commesso il fatto è stata piena e immediata.
I fatti risalgono al 9 novembre 2005, giorno in cui un gruppo di studenti dell'Università della Calabria, aveva promosso una manifestazione di protesta sulla riforma Moratti davanti la Presidenza di Scienze Politiche, al Polifunzionale. “C'era uno stereo con della musica – ricordano i due testimoni dell'accusa, il brigadiere Aquila e la dottoressa Gabrieli, impiegata presso la Presidenza – e una trentina di studenti che parlavano fra di loro”.
“Sono entrati nei corridoi – continua la dottoressa Gabrieli – e hanno chiesto pacatamente di parlare con il Preside Gambino, che però era fuori e quindi hanno deciso di attendere il suo ritorno”. Alla domanda insistente del PM “Ma i ragazzi impedivano agli impiegati di lavorare?”, sia il brigadiere e che l'impiegata hanno risposto negativamente, con divertita meraviglia da parte dei presenti, nonché del giudice stesso. All'udienza erano stati chiamati come testimoni della difesa il Preside Silvio Gambino, il professore Franco Piperno e quattro studenti di Scienze Politiche. Ma non c'è stato bisogno di sentirli. L'accusa ha rinunciato ai suoi testimoni e la difesa ai suoi, il PM ha chiesto l'assoluzione, d'accordo la difesa, e il giudice dopo pochi minuti ha pronunciato la sentenza.
Com'è possibile mettere impiedi processi simili? La dinamica scatenante è stata ricostruita dagli stessi testimoni durante l'udienza. L'impiegata Gabrieli, alla vista degli studenti, ha telefonato al direttore amministrativo Antonio Onofrio, il quale ha chiamato i carabinieri di Rende i quali, senza procedere ad alcuna identificazione, hanno denunciato i tre imputati. Dopo la telefonata, la dottoressa Gabrieli dava disposizione agli altri colleghi di chiudere le stanze a chiave, per evitare agli studenti di entrare. Dunque nessuna occupazione, gli studenti avevano pieno diritto di sostare nei corridoi in orario di sportello, né tantomeno interruzione del servizio.
Una semplice protesta studentesca che, lo ricordiamo, si concluse la sera stessa con una pacifica assemblea fra il Preside e gli studenti, ha invece coinvolto – con relative spese – forze dell'ordine, avvocati, giudici, testimoni. Il processo era stato chiesto dagli avvocati della difesa nel gennaio 2007, per ricorso contro la condanna penale – carcere o pena pecuniaria – notificata ai loro assistiti.
I fatti risalgono al 9 novembre 2005, giorno in cui un gruppo di studenti dell'Università della Calabria, aveva promosso una manifestazione di protesta sulla riforma Moratti davanti la Presidenza di Scienze Politiche, al Polifunzionale. “C'era uno stereo con della musica – ricordano i due testimoni dell'accusa, il brigadiere Aquila e la dottoressa Gabrieli, impiegata presso la Presidenza – e una trentina di studenti che parlavano fra di loro”.
“Sono entrati nei corridoi – continua la dottoressa Gabrieli – e hanno chiesto pacatamente di parlare con il Preside Gambino, che però era fuori e quindi hanno deciso di attendere il suo ritorno”. Alla domanda insistente del PM “Ma i ragazzi impedivano agli impiegati di lavorare?”, sia il brigadiere e che l'impiegata hanno risposto negativamente, con divertita meraviglia da parte dei presenti, nonché del giudice stesso. All'udienza erano stati chiamati come testimoni della difesa il Preside Silvio Gambino, il professore Franco Piperno e quattro studenti di Scienze Politiche. Ma non c'è stato bisogno di sentirli. L'accusa ha rinunciato ai suoi testimoni e la difesa ai suoi, il PM ha chiesto l'assoluzione, d'accordo la difesa, e il giudice dopo pochi minuti ha pronunciato la sentenza.
Com'è possibile mettere impiedi processi simili? La dinamica scatenante è stata ricostruita dagli stessi testimoni durante l'udienza. L'impiegata Gabrieli, alla vista degli studenti, ha telefonato al direttore amministrativo Antonio Onofrio, il quale ha chiamato i carabinieri di Rende i quali, senza procedere ad alcuna identificazione, hanno denunciato i tre imputati. Dopo la telefonata, la dottoressa Gabrieli dava disposizione agli altri colleghi di chiudere le stanze a chiave, per evitare agli studenti di entrare. Dunque nessuna occupazione, gli studenti avevano pieno diritto di sostare nei corridoi in orario di sportello, né tantomeno interruzione del servizio.
Una semplice protesta studentesca che, lo ricordiamo, si concluse la sera stessa con una pacifica assemblea fra il Preside e gli studenti, ha invece coinvolto – con relative spese – forze dell'ordine, avvocati, giudici, testimoni. Il processo era stato chiesto dagli avvocati della difesa nel gennaio 2007, per ricorso contro la condanna penale – carcere o pena pecuniaria – notificata ai loro assistiti.
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