Gli anni ’70 e la Calabria. Un binomio inesistente. Eppure, in quegli anni, lo stesso fermento che si respirava nella penisola era uguale, se non di minore intensità, a quello vissuto nella nostra regione.
“ ‘70voltesud”, lo spettacolo del gruppo teatrale “Mana Chuma” (in grecanico “madre terra”) Massimo Barilla e Salvatore Arena, rappresentato venerdì mattina al Teatro piccolo dell’Unical, in replica mercoledì al Teatro Masciari di Catanzaro, racconta proprio di quella rivolta reggina del 14 luglio 1970, «la più importante rivolta europea dopo i moti del 1848» precisa il regista Barilla, e di quel deragliamento del treno dovuto a una bomba, il 22 luglio dello stesso anno, che l’Italia ha saputo, abilmente, occultare. Sul palco un unico interprete e tanti personaggi. Arena ha dato vita, in un monologo di circa un’ora e mezza, sostenuto con sapiente maestria, a molti protagonisti dell’epoca, restituendocene la quotidianità e l’umanità.
La scarna scenografia, composta da una sedia, una scaletta e un pannello su cui scorrevano immagini rappresentanti la nostra terra e altre di repertorio, hanno aiutato a incentrare l’attenzione sull’attore. Non c’era neanche bisogno di chiudere gli occhi. Il profumo di bergamotto aleggiava nell’aria insieme all’odore acre del vagone del treno in cui s’incontrano sei persone. Si vedevano le barricate insieme ai nuvolosi densi causati dagli incendi. Tutto sapeva di quel 14 e 22 luglio. Tutto contribuiva a rendere l’intento del progetto ( “A Sud della Memoria di cui “ ‘70voltesud” costituisce la parte finale della trilogia insieme a “Il mondo offeso” e “Di terra e di sangue”) di recuperare la memoria storica calabrese, ricordando le rivolte e le contestazioni, per cominciare a levarsi quel nero che ha sporcato, annerito, per troppo tempo le nostre mani. La nostra vista.
Marta Monteleone
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