sabato 20 febbraio 2010

"La scomparsa dei fatti"


“Se in America il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia è il cane di compagnia. O da riporto”. Le parole sono di un libro che risale a qualche anno fa, ma che io ho scoperto solo questa estate. Si tratta di “La scomparsa dei fatti” scritto da Marco Travaglio (edito da Il Saggiatore). Un libro che ha creato non poche polemiche in quanto punta l’attenzione sul modo di fare giornalismo e sul modo di divulgare l’informazione in Italia, che sicuramente non è dei migliori. Ciò su cui focalizza l’attenzione Travaglio sono appunto i fatti, tutto ciò che potrebbe fare la differenza nel sistema di informazione italiano. “Senza fatti, si può sostenere tutto il contrario di tutto. Con i fatti no.”
Sono anni che in Italia i fatti non vengono più raccontati come sono realmente. Si nascondono per far posto a notizie di secondo piano. Nel libro si parla addirittura di “allergia ai fatti manifestata dal giornalismo italiano.” Vengono citati numerosi esempi di giornalismo malato che nel corso degli anni ha fatto entrare in casa nostra personaggi come Annamaria Franzoni “di cui gli italiani sanno tutto. Dei processi che riguardano i politici di ieri e di oggi nessuno sa nulla, a meno che, oltre a guardare la televisione, non si abbia il brutto vizio di leggere qualche giornale o qualche libro.” Oltre a questi fatti di cronaca non mancano notizie nascoste come i fatti di Tangentopoli, di cui molti giornalisti dell’epoca, ad un certo punto, hanno deciso di fare retromarcia, riabilitando tutti i protagonisti (condannati fra l’altro) della vicenda. Come non citare i misteri che avvolgevano la missione italiana in Iraq. Ed ancora, il caso dell’influenza aviaria che, sarcasticamente, definisce “giornalismo dei polli.” Travaglio ci ricorda anche come molti si dimentichino di una delle prime regole del buon giornalista, ovvero quella di verificare che i numeri siamo esatti. Spesso si sentono cifre assurde ma, poiché non siamo tutti economisti o matematici, ci crediamo. Continuando così, si va avanti facendo elenchi di tutti quei giornalisti che implicati in situazioni poco consone alla loro professione (inchieste, processi e quant’altro) hanno continuato in modo del tutto normale la loro professione. Sempre in tv con il sorriso stampato in viso, come se niente fosse.
Cita il sommo Montanelli. “La differenza fra chi scrive per i suoi lettori e chi scrive per gli altri si nota subito: il primo parla chiaro e lo capiscono tutti, il secondo parla in codice e lo capisce solo chi lo deve capire. ”
Questa purtroppo è la situazione in Italia del nostro giornalismo e della nostra informazione. La nostra figuraccia con la stampa estera l’abbiamo già fatta, in particolare per quanto riguarda le ultime vicende, specialmente quelle politiche. Eh già, i politici di “casa nostra” hanno trovato il loro punto d’appoggio nella tv e in molti giornalisti. Quello che un po’ tutti dovremmo fare e di iniziare ad aprire qualche giornale in più. Ma anche qui badiamo bene a quale aprire! Dobbiamo cercare di avere una nostra opinione delle vicende che ci circondano ed iniziare ad avere un occhio più critico. Non che tutti debbano avere l’ambizione di diventare giornalisti, come me, ma almeno non facciamoci abbindolare come pupazzetti da un giornalismo malato.

Adelia Pantano

martedì 9 febbraio 2010

Rivolta di Rosarno, riflessione a Sociologia


I fatti di Rosarno hanno scosso l’intera opinione pubblica e l’Università della Calabria non è rimasta insensibile. In particolare su cosa sia accaduto a Rosarno nelle tragiche giornate di gennaio si è interrogato il dipartimento di Sociologia e di Scienze Politiche, che ha organizzato un incontro con la prof. Ada Cavazzani, il prof. dell’Università di Palermo Fulvio Vassallo Paleologo, la prof. Donatella Loprieno che ha dato delle delucidazioni giuridiche sull’immigrazione e il diritto del lavoro. Infine c’è stata anche una testimonianza diretta di cosa sia l’immigrazione da parte di Soungoutoaba Cissokho, immigrato e rappresentante della Comunità senegalese in Calabria.
Su Rosarno sono state dette tante parole e sono state fatte tante ipotesi, si è passati da atti di violenza, al razzismo, alla xenofobia, alla ‘ndrangheta, certo è che a Rosarno questi fenomeni ci sono stati tutti e si sono presentati in una forma inedita. La rivolta non è scoppiata da un giorno all’altro e soprattutto non è arrivata dal nulla, episodi del genere si erano già verificati in passato, certo non con la stessa entità e soprattutto la stessa violenza. Ad esempio era già successo nel 2008 che qualche balordo avesse aggredito gli immigrati, ma questi reagirono diversamente, con una manifestazione pacifica. Va detto anche gli episodi di violenza vanno visti nella stagionalità dell’agricoltura, infatti sarà un caso o meno ma finita la stagione delle arance ecco che scoppia la rivolta, così è stato nel 2008, così nel 2009, come ha spiegato il prof. Paleologo.
Ma c’è anche da dire che questa volta a differenza delle altre si è aggiunto anche il fattore crisi economica, che al nord ha fatto licenziare migliaia di lavoratori tra cui molti immigrati che sapendo della raccolta delle arance sono arrivati a Rosarno in numero maggiore rispetto agli altri anni. Molti di questi immigrati erano abituati ad assunzioni regolari, a lavorare rispettando le regole e ad essere a loro volta rispettati: quindi in Calabria non erano disposti a subire vessazioni. Come sostiene Cissokho, la rivolta a Rosarno c’è stata perché c’è stata un’offesa alla dignità umana che è strettamente collegata al principio del lavoro, principio fondamentale e basilare della nostra stessa Costituzione. Quindi piuttosto che essere offesi gli immigrati hanno preferito combattere anche perché non avevano più nulla da perdere visto che la cosa fondamentale era già venuta meno: il lavoro.
Ma cosa ha portato la rivolta di Rosarno?
Di certo ha portato la visibiltà di un problema che esiste su tutto il territorio italiano, come quello dello sfruttamento dell’immigrazione, al quale non si sa più come reagire perché non ci sono delle normative certe, inoltre i centri di prima accoglienza sono stati chiusi. Spesso l’immigrazione viene anche strumentalizzata e utilizzata nella guerra della politica sulla sicurezza, ciò è valido soprattutto nel momento attuale della politica italiana specie nella fase pre-elettorale.
Rosarno ha portato anche alla luce un certo egoismo sociale e la manifestazione della paura dell’altro, del diverso. Per questo motivo, ha sostenuto Paleologo c’è bisogno di costruire osservatori sul razzismo per avere la difesa dei diritti. Ma per combattere episodi del genere bisogna partire dalla cultura, dalla chiesa, dall’Università.
Ma la rivolta di Rosarno è servita anche a far emergere un altro problema molto diffuso nel sud Italia, l’assistenzialismo, in questo caso si tratta di persone che dichiarano di lavorare in agricoltura ma che in realtà le mani non se le “sporcano” se non per prendere i “soldi puliti” senza aver fatto alcuna fatica, lasciando il vero lavoro all’immigrato di turno.
A Rosarno c’è stata una rivolta, ma dopo c’è stato il silenzio della città. Come si è visto dalla proiezione del video “Il tempo delle arance” di Alfonso De Vito, regista campano che nei giorni della rivolta è venuto in Calabria a filmare cosa stava accadendo. Dal video in particolare emerge che nei giorni seguenti la protesta la città della Piana sembrava una città fantasma, poca gente per strada e poche macchine.
Ciò che resta è l’immagine della deportazione assistita degli immigrati, il possibile intervento della ‘ndrangheta che può essere stata coinvolta per mantenere un ordine, ma resta anche il fatto che nell’Europa di Schengen gli immigrati clandestini riescono ad entrare nei paesi tramite le reti ufficiali quali porti e aereoporti , ma c’è anche la mancanza di una rete e di un organico che possa controllare l’immigrazione, soprattutto quella clandestina.
Infine a Rosarno c’è stata anche la cosiddetta lotta fra poveri, infatti gli immigrati africani sono stati sostituiti dagli immigrati dell’est Europa.
Ciò che è accaduto a Rosarno però non è da circoscrivere solo al territorio calabrese ma è rivolto a tutto il territorio italiano, infatti sulla stessa scia vanno ricordati gli eventi di Castelvolturno e di Roma. E i problemi non si risolvono certo con la cacciata degli immigrati.

Giovanna Terranova

lunedì 8 febbraio 2010

Alla scoperta di Lorenzo Calogero, poeta calabrese


Ottocentoquattro quaderni. In essi è contenuta non solo la poesia, ma tutta la vita di un poeta contemporaneo: Lorenzo Calogero. Dire di lui “poeta calabrese” è riduttivo, è una figura infatti che deve leggersi in un contesto molto più ampio per poterne apprezzare la qualità. E questo è lo scopo del Convegno Internazionale organizzato per la prima settimana di febbraio dal dipartimento di Filologia dell’Unical, alla presenza di esponenti di prestigio del mondo della cultura e dell’università. Una iniziativa che si distende tra Melicuccà, suo paese d’origine, Palmi e principalmente Arcavacata, in occasione del centenario della nascita. Pensando alla cultura della nostra regione vengono in mente grandi nomi, ma in genere tutti relativi ad epoche passate. È necessario dunque rivalutare le tante figure recenti, per dare l’idea che l’eredità culturale della Calabria sia ancora viva. Calogero, come sottolinea il prof. Cersosimo, dovrà essere oggetto di un investimento culturale straordinario, che permetta di diffonderne la conoscenza, per toglierlo dalla “calabresità” intesa come eccesso localismo, e reinserirlo nella dimensione di poeta italiano, nato per caso a Melicuccà.
Singolare è la vicenda dei quaderni. Su di essi il poeta costantemente segnava, quasi come in uno zibaldone leopardiano, pensieri in prosa, componimenti in versi, racconti, bozze di lettere, e anche alcuni disegni. I quaderni, conservati in vari scatoloni, erano stati affidati alla Casa della cultura di Palmi. Le condizioni in cui si trovavano alcuni di essi erano molto precarie, tanto che di alcuni se ne è potuta fare appena in tempo una scannerizzazione, salvandone così il contenuto. Tutto questo materiale è passato ora alla custodia della nostra Università. Archi-let è il progetto del Dipartimento di Filologia che si propone la conservazione di archivi letterari, e da qualche tempo ha riordinato i quaderni di Calogero, facendone una schedatura, verificandone la condizione, esaminandone gli scritti. E non solo. Si è proceduto infatti anche alla riproduzione digitale del materiale, permettendo così la sua consultazione evitando però di danneggiare ulteriormente i quaderni.
La figura di Lorenzo Calogero ha certamente tutte le potenzialità per suscitare interesse. A iniziare della sua vita. C’è infatti uno strettissimo legame tra la sua vita e le sue opere. Dalle sue poesie emerge quel senso di solitudine che lo accompagnerà sempre, fino alla morte. Morte da suicida, che ancor di più lo pone nell’ambito dei cosiddetti “poeti maledetti”, contribuendo a formare una sorta di mito. Era anche medico, Calogero, ma esercitò pochissimo la professione, preso com’era dalla sua passione per la poesia. La sua arte non è ben riconducibile ad uno stile, ma subisce cambiamenti, è un processo in fieri, e forse anche per questo difficile da comprendere nell’immediato. Su Calogero pesò molto l’essere in qualche modo “emarginato” dalla critica, anche se intratteneva contatti epistolari con molti esponenti della vita culturale del suo tempo. Poche le pubblicazioni in vita, poche quelle postume, ma dai quaderni è emersa una quantità tale di materiale da permettere una più completa analisi della sua poesia. Sul poeta di Melicuccà infatti sono stati creati degli stereotipi che in qualche modo lo hanno anche danneggiato. Bisogna evitare di mettere un personaggio come Calogero “sugli altari”, ma occorre studiarlo, impararlo, e soprattutto capirlo.
Sono molte le iniziative in cantiere. Innanzitutto curare una pubblicazione delle opere. Dunque sia le raccolte pubblicate dallo stesso autore, sia quelle edite dopo la sua morte. Ma soprattutto il materiale inedito riscoperto di recente. E cercare poi di divulgare anche a livello internazionale attraverso traduzioni accurate. A livello di studio si auspica che nasca un gruppo che se ne occupi in modo approfondito, anche con l’istituzione di borse di studio e di una borsa di dottorato. Per diffonderne la conoscenza, oltre che con progetti indirizzati alle scuole è interessante la proposta dell’istituzione di un “parco letterario”, l’idea di un viaggio per conoscere i luoghi del poeta, ad iniziare dal suo paese natale. Progetto che permetterebbe di valorizzare anche i luoghi oltre a una figura sconosciuta al grande pubblico, quella di un grande poeta calabrese di respiro internazionale.

Lorenzo Coscarella